REDAZIONE PRATO

Magni, grande campione: "Dalla parte sbagliata. Ma è ora di ricordarlo. Con l’amico Martini"

Lo storico Bernardi ripercorre la carriera sportiva del Re delle Fiandre e ricorda la sua militanza fascista, tragica battaglia di Valibona compresa "Dopo ottant’anni è arrivato il momento di chiudere il cerchio" .

Lo storico Bernardi ripercorre la carriera sportiva del Re delle Fiandre e ricorda la sua militanza fascista, tragica battaglia di Valibona compresa "Dopo ottant’anni è arrivato il momento di chiudere il cerchio" .

Lo storico Bernardi ripercorre la carriera sportiva del Re delle Fiandre e ricorda la sua militanza fascista, tragica battaglia di Valibona compresa "Dopo ottant’anni è arrivato il momento di chiudere il cerchio" .

di Walter Bernardi

PRATO

Dieci anni fa, il 25 agosto 2014, ci lasciava a Sesto Fiorentino Alfredo Martini, partigiano comunista e campione di ciclismo, ma soprattutto un grande italiano e un ‘professore di umanità’ all’università del ‘Pensiero libero’. Tra le tante, belle lezioni che Alfredo ci ha lasciato, una riguarda in particolare noi pratesi. Figlio di operai, operaio lui stesso alla Nuovo Pignone ma con la bicicletta nel cuore, aveva gareggiato prima della seconda guerra mondiale nella stessa squadra di Fiorenzo Magni, nato e cresciuto a Vaiano. Anche lui era figlio di operai con la stessa passione per ruote e pedali, ma, a differenza di Alfredo, si era fatto ingannare dalla propaganda fascista e si era arruolato tra le camicie nere della Repubblica sociale di Mussolini. Quando però, finita la guerra, Fiorenzo era stato chiamato alla sbarra del tribunale, Alfredo non aveva esitato ad andare a Firenze, anche se sapeva di deludere i propri compagni di partito, per testimoniare a favore dell’amico. Anche grazie a questa testimonianza e alla legge sull’amnistia di Palmiro Togliatti, Magni era stato assolto e aveva iniziato la sua strepitosa carriera sportiva che lo aveva portato a vincere tre Giri d’Italia nel 1948, 1951 e 1955, e tre Giri delle Fiandre consecutivi nel 1949, 1950 e 1951: un record tuttora imbattuto, che gli era valso all’estero il soprannome di Leone delle Fiandre e in Italia quello di Terzo uomo del ciclismo dopo i campionissimi Fausto Coppi e Gino Bartali. Prima di morire, nel 2012, Magni aveva confessato di aver partecipato nelle file repubblichine alla battaglia di Valibona, in cima alla Calvana, ma di non aver sparato nessun colpo di fucile contro i partigiani di Lanciotto Ballerini. Sarà stato vero? È un segreto che Magni si è portato nella tomba; Martini gli aveva però creduto e aveva giurato che il suo amico era una persona perbene e un grande campione, anche se si era schierato dalla parte sbagliata.

Sono passati 80 anni dalla Liberazione, gran parte dei giovani di oggi ricordano a malapena i nomi di Coppi e Bartali, non sanno nulla di Magni e purtroppo anche di Martini. Ma noi abbiamo il dovere morale di continuare a coltivare la memoria e fare storia di quei tragici fatti, che fanno parte integrante della nostra identità. Quando, da storico e professore universitario, ho studiato le carte del processo di Valibona, sono riuscito a ricostruire anche la storia della militanza antifascista di mio nonno materno Geminiano, primo e unico comunista di Fiumalbo, un paesino di montagna in provincia di Modena. Incrociando i ricordi di mia madre con i documenti del Casellario politico dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, mi sono immedesimato nella battaglia ideale di mio nonno comunista, il quale aveva dovuto scontare anni di confino nell’isola di Ponza, lasciando a casa moglie e quattro figlie piccole, prima di dover chinare il capo, per sopravvivere, di fronte alla protervia della dittatura. Ma dopo la guerra era tornato a fare il comunista, anche qui a Prato, in Vainella a due passi da Figline, e non si era certo vendicato di chi, nel suo paese, lo aveva denunciato.

Si torna a parlare oggi finalmente di ‘ius scholae’, del diritto di essere cittadini italiani dei ragazzi stranieri che hanno completato un ciclo scolastico qui. Ma che storia raccontiamo a loro e ai ragazzi nati a Prato? Che i loro nonni si sono massacrati in una guerra civile fratricida che continua (per fortuna in altre forme) anche oggi, oppure che da quella tragica pagina del nostro passato è nata un’Italia nuova, finalmente libera, democratica e antifascista, che guarda al futuro per contribuire a costruire un mondo di pace tra i popoli? Anche 150 anni fa, durante il Risorgimento, italiani di regioni lontane, piemontesi e siciliani, erano morti nelle battaglie tra l’esercito borbonico e le ‘camicie rosse’ di Garibaldi, ma a scuola non si racconta certo che era stata una guerra civile, bensì un grande movimento di idee e di popolo dal quale era nata l’Italia. Per quanto mi riguarda, quando penso al mio amico Alfredo e a mio nonno Geminiano, sono convinto che 80 anni possono bastare per chiudere il cerchio della storia del Novecento, prendere tutti insieme atto che la Resistenza ha decretato in modo inequivocabile che verità e ragione stavano dalla parte dei partigiani che si sono sacrificati a Valibona, non certo dalla parte di chi come Magni era salito su in Calvana per uccidere. Ma detto questo, quando tutti gli anni, cantando “Bella Ciao”, noi pratesi ci rechiamo a Figline a rendere omaggio ai 29 partigiani impiccati (tra i quali diversi stranieri senza nome), dobbiamo ricordare sempre e a voce alta ai giovani italiani, vecchi e nuovi, che studiano la storia nelle nostre scuole, che da quel sacrificio è nato un fiore che dobbiamo innaffiare con cura e far crescere giorno per giorno, altrimenti rischia di rinsecchire. È il fiore della libertà, della democrazia, della giustizia e della solidarietà, ma anche della comprensione umana.