SILVIA BINI
Cronaca

Medico in trincea: scelgo il pronto soccorso. "Seguite il cuore, non il portafoglio"

Va controcorrente e sceglie di lavorare nel reparto di emergenza del Santo Stefano. "La strada giusta per essere un professionista completo"

Andrea Meoni (foto Attalmi)

Prato, 5 febbraio 2022 - Andrea Meoni, classe 1978, va controcorrente. Mentre in tutta Italia, e Prato non fa eccezione, si assiste alla fuga di medici dai pronto soccorso, lui - specializzato in Medicina di urgenza con un passato nella guardia medica e come dottore di famiglia - rompe il tabù e sceglie di virare, entrando al pronto soccorso, la prima linea del Santo Stefano. Reparto continuamente sotto pressione, il secondo per numero di accessi della Toscana, anche per questo in costante debito di forza lavoro.

Meoni, come è maturata la scelta di entrare in pronto soccorso? "A novembre ho deciso di fare questo ulteriore passo per la mia carriera. Ho preso questa decisione nonostante sapessi a cosa andavo incontro, ma ho voglia di sentirmi un medico completo. Voglio migliorare la mia formazione, le mie competenze e acquisire nuove professionalità". E perché non altri reparti? "Qui siamo in prima linea, abbiamo a che fare con una casistica eccezionale di patologie e pazienti. Si fanno diagnosi, indagini strumentali. Oggi noi medici tendiamo a specializzarci in una determinata branca, con il rischio di dimenticare tutto quello che abbiamo studiato in sei anni di Medicina e Chirurgia". È vero che si lavora tanto e le soddisfazioni economiche non vanno di pari passo? "Non c’è paragone rispetto a professionisti che visitano in ambulatori privati, siamo pagati poco per il lavoro che svolgiamo, ma ho scelto di fare il medico per una passione che ho scoperto al quarto anno delle superiori". Quale è stata la molla? "Entrare come volontario alla Pubblica Assistenza dove tutta’ora sono referente sanitario. Ho conosciuto il mondo dell’emergenza, quando sono salito per la prima volta su un’ambulanza ho capito che quella era la mia strada". Però lei viene da una formazione tecnica. "Sì, mi sono diplomato al Dagomari e all’inizio credevo di fare il ragioniere...". C’è un particolare episodio della sua carriera che la emoziona ancora oggi? "Ce ne sono alcuni che hanno lasciato un segno indelebile. Uno dei primi interventi con il 118 è stato su un ragazzo che si era sparato. Quando sono arrivato ho capito che la situazione era disperata e che non avrei potuto fare nulla per lui. Ecco, quel momento mi ha messo di fronte ai limiti che come persone abbiamo e che dobbiamo accettare. Le esperienze con giovani e bambini sono quelle che segnano maggiormente. Durante un altro intervento in via Marini due genitori disperati mi gettarono letteralmente tra le braccia il bambino piccolissimo. Era in arresto respiratorio, abbiamo fatto di tutto per salvarlo. Quando ha ripreso conoscenza è stata una felicità immensa. Di recente c’è un fatto che mi ha segnato: l’emergenza che ha riguardato Francesco Quirino, lo zio di tutti alla Pubblica Assistenza. Ecco, mantenere la lucidità, essere solo un medico quando ti trovi difronte una persona che ti è molto vicina è davvero difficile". Cosa si sente di dire ai giovani che vogliono intraprendere la carriera medica? "Ragazzi, seguite il cuore e non il portafogli. La passione paga più di quanto si possa immaginare". Quindi è certo di avere fatto la scelta giusta. "Torno a casa la sera stanchissimo, ma pienamente appagato. Quindi sì, posso dire che se potessi tornare indietro rifarei la stessa scelta molto prima".