Modernità di Pontormo . L’introduzione di Soffici a due grandi capolavori

Visitazione e lunetta della Villa Medicea: un testo illuminante del 1939 che Corsetti avrebbe pubblicato, ora che sono una accanto all’altra.

Modernità di Pontormo . L’introduzione  di  Soffici a due grandi capolavori

Visitazione e lunetta della Villa Medicea: un testo illuminante del 1939 che Corsetti avrebbe pubblicato, ora che sono una accanto all’altra.

di Ardengo Soffici

POGGIO A CAIANO

La pittura toscana fu dalla sua origine chiara ed ariosa. Chiara con Giotto, con l’Angelico, col Botticelli, con Pier della Francesca e col Signorelli; essa rispecchiò sempre la limpidezza dei nostri cieli, la nettezza delle nostre campagne, la forbitezza cristallina delle nostre costruzioni cittadine. Soltanto per una curiosa influenza di quella veneziana di color più caldo molle e pesante, forse dovuta a quel viaggio e dimora che Paolo Uccello fece a Venezia d’onde forse riportò la sua pingue tavolozza fiamminga, la nostra pittura cambiò di tono con Masolino, Masaccio, Andrea del Castagno, Leonardo, fino a diventare dal Cinque e Seicento in poi grave, cupa e quasi affatto priva di rapporto diretto con la luce del paese in cui veniva prodotta. E’ merito grande di Andrea del Sarto giovane di aver "resistito" nelle sue storie a fresco del vestibolo dell’Annunziata alla corrente comune, come vi resisteva il giovane Franciabigio; ma tanto questi quanto quello lo fecero purtroppo per poco, come è dimostrato dalle loro opere della maturità, e basti l’esempio della Madonna delle Arpie del primo, dove le nuove gamme di colore finiscono con l’affermarsi in modo decisivo e perentorio.

Non così avvenne invece per il Pontormo, compagno ed amico dei due, prima che le passioni e la diversa tempra spirituale li separassero e gettassero tra loro i germi della discordia ideale e personale. Infatti il Pontormo fu il solo che tra l’andazzo generale restasse fedele alla visione del reale comune ai vecchi pittori della sua terra e che si esprimesse con note chiare e fresche di colore, le quali davano ai suoi dipinti un’ariosità ed una leggerezza che ancora durano e ci riempiono insieme di piacere e di stupore. Basti ricordare la grande tavola di Santa Felicita in Firenze quale ci è apparsa ultimamente dopo che è stata nettata dagli oscuramenti e dalle affumicature secolari, e dove lo splendore, la vivacità e la limpidità delle tinte raggiungono un grado difficilmente riscontrabile anche nei dipinti dei nostri giorni, la cui caratteristica ed il cui pregio maggiore è appunto di riesprimere la luminosità e la festosità cromatica delle cose e dei luoghi raffigurati all’aria aperta.

Un’altra opera che anch’essa testimonia di questa virtù è la lunetta dipinta dal medesimo artista nella massima sala della villa medicea del Poggio a Caiano, ma qui la chiarità e smaglianza dei toni non è la sola cosa degna di ammirazione: anche la tecnica con la quale è eseguita ci rivela nel suo autore un artista di singolare, anzi eccezionale, interesse, e ci fa vedere nel Pontormo addirittura un precursore della pittura moderna. Se non ci fosse il pericolo di esser fraintesi si potrebbe dire che il Pontormo appare in codesto dipinto come un impressionista avanti lettera: certo è in ogni modo che la velocità e nervosità del tócco, la novità degli accordi, la libertà, il fremito e la sprezzatura del disegno non trovano riscontro che in quelli del tardo Settecento. E poiché di qui è nato appunto tutto il movimento che si definisce impressionista, e che dagli sviluppi di questo ha tratto origine ogni forma pittorica di modernità, è certo, dico, che modernissimo può esser detto il Pontormo ed attuale, fecondo in sommo grado il suo insegnamento.

Nella Visitazione che si trova nella chiesa di Carmignano, e che può esser considerata come una delle opere più importanti, perfette e significative del nostro pittore, tali caratteristiche di modernità e di genuina toscanità sono ugualmente patenti. Anche in essa le colorazioni sono leggere, ariose d’una freschezza che si potrebbe dir mattinale; se la loro chiarità non si rivela a prima vista, come nei due dipinti sopra citati, ma anzi soltanto si manifesta come dietro un velo che l’occhio esperto deve traversare, ciò non dipende da altro che dal fumo dei ceri e dalla patina polverosa stesavi su dal tempo. Se anche questa tavola fosse sottoposta, come quella di Santa Felicita, ad una sapiente ripulitura, l’effetto sarebbe miracoloso e la bellezza del capolavoro si mostrerebbe totale.

Ma in esso ciò che più importa ancora sono altre qualità egualmente, come ho detto, particolari al Pontormo. Intendo l’indipendenza - sopra uno schema in certo modo michelangiolesco - della costruzione pittorica delle forme, la fluente pienezza dell’organizzazione spaziale e della composizione, la spregiudicatezza della rappresentazione anatomica dei corpi, tutti in lunghezza come annunziando le deformazioni del Greco; ogni cosa ottenuta con una scioltezza di pennello, una liquidità di modellato, sia nelle vesti, sia nei volti, che soltanto oggi possono trovare qualche riscontro nelle più ardite esperienze dei pittori nostri contemporanei.

Certo non è solo per queste ragioni che il Pontormo è annoverato fra i grandi campioni della pittura italiana: ben altri pregi che quelli da me ora indicati possono e sono stati rilevati nell’opera sua; ma la sua fedeltà all’antica tradizione toscana, e questo senso precursore di novità pittoriche manifestatesi più secoli dopo la sua morte non son forse estranei alla crescente ammirazione che il suo nome e la sua personalità artistica trovano tra la gioventù dei nostri giorni, la quale di lui vuol vedere ed ama sempre più le opere di cui la Visitazione è per tale riguardo la più eccellente, addirittura esemplare.