LAURA NATOLI
Cronaca

Muore dipendente di un centro ippico. Schiacciato dal cavallo contro un cancello

Arresti e sequestri in mezza Italia, ma il cuore dell’operazione illecita era nel distretto tessile. Il rimborso dei crediti d’imposta transitava nelle ditte orientali e poi finiva nella madrepatria.

Muore dipendente di un centro ippico. Schiacciato dal cavallo contro un cancello

Muore dipendente di un centro ippico. Schiacciato dal cavallo contro un cancello

Prato capitale del riciclaggio. Non è una novità. Tutte le volte che leggiamo una classifica sulla qualità della vita o sulla criminalità, la città toscana balza ai vertici proprio per i reati collegati al riciclaggio di denaro sporco. Quello che arriva dallo sfruttamento della manodopera clandestina e a nero, dalla contraffazione, dal sistema delle ditte "apri e chiudi", dall’evasione fiscale e dell’Iva, dalle false dichiarazioni alle Dogane per il trasporto dei materiali e della merce. Insomma, dal "sistema Prato", come è stato ribattezzato negli ultimi anni e come emerso dalle tante inchieste della procura pratese. Un sistema che lavora nell’ombra in un distretto illegale, accanto a uno legale e operoso in una sorta di scatole cinesi. Più scatole riesci ad aprire con le inchieste e più il sistema prolifica, cercando nuovi escamotage o meccanismi per sopravvivere nell’illegalità. Una battaglia contro i mulini a vento.

Non sorprende più di tanto se l’inchiesta sulla maxi truffa dei bonus facciate si sia incardinata proprio a Prato nonostante le truffe siano state organizzate e pianificate da tre soggetti estranei alla città: l’imprenditore foggiano finito ieri ai domiciliari, Alfredo Tenace, e i suoi fidi collaboratori, anch’essi ai domiciliari: Giovanni De Gennaro di Napoli e Alessandro Errichiello di Cesena, tutti accusati di truffa aggravata allo stato e riciclaggio. Le truffe dei bonus facciate erano semplici: i collaboratori conniventi chiedevano di accedere ai contributi statali per eseguire lavori di ristrutturazioni di immobili che non erano neppure di loro proprietà. I cantieri non venivano mai aperti ma i i soldi erano intascati: si parla di 10 milioni di false fatture per ottenere circa 7 milioni di rimborsi. La Guardia di finanza ha sequestrato ieri circa 5,9 milioni su disposizione del gip di Prato Marco Malerba.

E Prato cosa c’entrata in tutto questo? Semplice: Prato è stata individuata come il posto giusto dove fare affari sporchi, riciclare il denaro servendosi della connivenza di cittadini cinesi (indagati ma tutti irreperibili) che erano i prestanome di ditte fantasma, inesistenti. Perché non pensare alla malavita di casa nostra? No meglio i cinesi di Prato, nati per fare affari.

Le fatture false intestate alle ditte "apri e chiudi" (così chiamate perché nell’arco di due anni aprono e chiudono sfuggendo al controllo del fisco) servivano a ripulire i soldi tramite i cinesi che inviano il denaro in conti all’estero irrintracciabili, trattenendo una percentuale sulla cifra. Non c’è da meravigliarsi: è un sistema ben collaudato dagli orientali per riciclare i soldi guadagnati sfruttando il lavoro nero e clandestino. Sono fiumi di denaro quelli che transitano dal distretto parallelo pratese, soprattutto verso al Cina. Si parla di una evasione fiscale di oltre un miliardo all’anno. E’ quindi più di un sospetto l’esistenza di una vera e propria banca clandestina cinese che invia milioni all’estero senza lasciare tracce.

La banca clandestina cinese è stata una delle ultime scoperte della Guardia di Finanza sul riciclo di denaro sporco. La banca illegale tra novembre 2020 e marzo 2021, il periodo di monitoraggio della Finanza, avrebbe movimentato complessivamente tre milioni di euro. Nei due sportelli scoperti, mascherati da negozio di elettronica, lavoravano due coniugi finiti entrambi in manette nell’ambito di un’inchiesta della procura di Firenze, con l’accusa di essere il fulcro di un’articolata associazione per delinquere dai tratti orientali. Stessi sospetti ricaduti più volte su un ufficio amministrativo cinese (così definito dall’associazione che lo gestiva in via Orti del Pero) che sbrigava pratiche per i connazionali lontani da casa ma che una ong spagnola indicò come una stazioni di controllo dei dissidenti del regime. In realtà, anche in quel caso, gli investigatori sospettarono che fosse un modo per inviare denaro sporco in patria. Anche questo non stupisce.