Firenze, 14 dicembre 2024 – Finisce un anno carico di morti sul lavoro. Incidenti, sdegno, scioperi. Le famiglie colpite restano senza la vita che se ne va. Spesso i figli crescono senza un genitore e si portano quel peso per sempre. La giustizia, con i suoi tempi, prolunga l’attesa di verità in una straziante speranza che la memoria dilaniata sia compensata da una sentenza adeguata; la legislazione, laddove trova un impegno comune, non riesce ad incidere efficacemente (patente a punti o non patente a punti). Si aspettano ancora gli ispettori del lavoro, gli esempi virtuosi di aziende che fanno della sicurezza il loro biglietto da visita sono limitati. Resta inascoltato il diritto di tornare a casa, ad abbracciare la famiglia, a raccontare come è andata la giornata, a condividere piccole gioie e grandi problemi. Ci sono ragazzi che passeranno il Natale senza il babbo, ci sono mogli che non hanno più il compagno, ci sono amici orfani e colleghi di lavoro smarriti. Ricordiamocelo tutti. Istituzioni, politici, imprenditori, grandi gruppi industriali, sindacati, associazioni di categoria. Nessuno escluso, tutti coinvolti. E responsabilizzati perché la sicurezza sul lavoro è patrimonio collettivo di un Paese che vuole avere nei diritti le radici per il futuro. L’altro giorno un sindacalista esperto, Fabio Franchi della Cisl ha detto al nostro giornale: "Non possiamo derubricare a fatalità ciò che è successo. Qualcosa di certo non è stato rispettato. Dietro ogni incidente c’è un peccato: un mancato investimento aziendale, una procedura non rispettata, una violazione delle norme, una volontà di accorciare i tempi di lavoro per aumentare il profitto; e se tutto ciò avviene in contesti dove si ricorre ad appalti e sub appalti, lavoro autonomo, precario, dove ci sono interferenze tra lavoratori interni ed esterni, i rischi aumentano, se alla base non c’è l’assoluta priorità al lavoratore". C’è sempre un peccato, dice, un peccato capitale.
CronacaOgni incidente è un peccato capitale