REDAZIONE PRATO

Omicidio Cozzolino, quattro ergastoli. La parola ‘fine’ dopo diciassette anni

Stracci e camorra: la sentenza della Cassazione chiude la vicenda

Il corpo di Ciro Cozzolino nell’auto crivellata di colpi

Prato, 11 giugno 2016 - Ci sono voluti diciassette anni e sei processi prima di mettere la parola fine a uno degli omicidi più cruenti avvenuti nella provincia pratese, quello di Ciro Cozzolino, all’epoca imprenditore a Montemurlo nel settore degli stracci. E’ stata la Cassazione a porre fine a un procedimento lungo e contorto che ha portato (nell’ultimo grado di giudizio) a quattro ergastoli, un’assoluzione e due condanne a 21 e 24 anni. La Cassazione ha confermato condanne e l’assoluzione dell’Appello nonostante il procuratore generale avesse fatto ricorso contro la posizione di Gerardo Ascione (difeso dagli avvocati Antonio Denaro e Alberto Rocca, assolto definitivamente), e i legali degli imputati avessero presentato ricorso contro le pesanti condanne inflitte in Appello. L’ergastolo è stato confermato per i componenti del caln camorristico Birra ( Antonio e Giovanni Birra) e per Stefano e Giacomo Zeno, tutti difesi dall’avvocato Spiezia di Napoli. Confermati 24 anni per Salvatore Didato, difeso dagli avvocati Costanza Malerba e Federico Febbo, e i 21 per Giuseppe Chierchia, difeso da Manuele Ciappi. In primo grado gli ergastoli furono sei con la sola assoluzione di Didato. I Birra e gli Zeno sono stati considerati i mandanti del delitto: Cozzolino è stato ucciso perché avrebbe smesso di pagare il pizzo nell’ambito del commercio degli stracci.

Didato e Chierchia, invece, sono due figure marginali. Didato doveva essere il primo esecutore materiale del delitto ma, andato una prima volta, sbagliò carcere. Si recò alla Dogaia a Prato sapendo che Cozzolino aveva dei permessi premio e poteva uscire dal carcere. Non sapeva, però, che Cozzolino era detenuto a Santa Verdiana a Firenze. L'«incarico» gli fu tolto ma fu lui – secondo l’accusa – a dare a Gerardo Sannino (l’esecutore materiale) la pistola che ha sparato. Chierchia, invece, avrebbe recuperato, subito dopo l’omicidio, l’auto rubata da Ascione.

L’OMICIDIO di Ciro Cozzolino è anche uno spaccato nascosto di quello che era (e probabilmente è) il legame tra stracci e camorra a Montemurlo dove la presenza di cittadini originari della Calabria è molto radicata. Quel 4 maggio 1999 Cozzolino fu freddato in via Pascoli a Montemurlo. Gli scaricarono addosso sei colpi con una Makarov, una pistola da guerra, non appena salito sulla sua Audi A3 nera. A sparare fu il reo confesso Gerardo Sannino, poi pentito, tanto da «meritarsi» una pena estremamente mite: 8 anni per un omicidio a sangue freddo. Insieme a lui c’era un altro pentito, Palmierino Gargiulo che si è ucciso in carcere.

Il primo processo cominciò nel 2000, subito dopo l’omicidio. In tre finirono a giudizio tra cui Vincenzo Ascione, padre di Gerardo. In primo grado furono condannati all’ergastolo ma in Appello la sentenza venne ribaltata e furono tutti assolti. La Cassazione confermò l’assoluzione. Furono le dichiarazioni del pentito Sannino a far riaprire le indagini nel 2009. Ma i tre non sono più processabili perché già assolti al terzo grado di giudizio. Una storia lunghissima a cui adesso possiamo scrivere la parola «fine».

Laura Natoli