Prato, 19 gennaio 2025 – La porta a vetri, con le incrinature ancora ben visibili al pari del nastro segnaletico bianco e rosso, reca ancora i segni della notte di follia di quasi due settimane fa. E trattandosi pur sempre dell’ingresso al pronto soccorso, non appare esattamente come il miglior biglietto da visita: non un “Lasciate ogni speranza o voi che entrate” di dantesca memoria, ma quasi. Riferendosi a chi entra per farsi curare ma anche per lavorare perché gli operatori sanitari (medici, infermieri, oss) sono le prime vittime troppo spesso di offese e violenze.
Dopo i due episodi delle scorse settimane il pronto soccorso sembra aver ritrovato la propria routine: una relativa normalità intervallata di tanto in tanto da qualche utente che manifesta perplessità o disappunto (in forme più o meno evidente) o da difficoltà comunicative con l’utenza straniera.
Sono le peculiarità emerse dalle ore trascorse in pronto soccorso lo scorso venerdì sera, per una “prova sul campo” effettuata per avere un’idea di quali situazioni possa trovare un utente che necessita di un accesso e quali potenziali criticità si trovino dall’altra parte a dover fronteggiare i sanitari e le guardie giurate.
Entriamo quindi alle 23,10 di venerdì e già la porta d’ingresso “racconta” a suo modo degli ultimi avvenimenti: si vede ancora il risultato dell’azione del paziente psichiatrico che lo scorso 7 gennaio riuscì a sradicare alcune sedute della sala d’aspetto e a lanciarle contro il vetro. Poco meno di una decina le persone che attendono in sala: regna il silenzio, rotto di tanto in tanto dalle chiacchiere di circostanza fra la guardia giurata che presidia l’interno della struttura ed un anziano in attesa del proprio turno. La sicurezza non sembra insomma essere un argomento di discussione, almeno fra l’utenza. A smuovere successivamente le acque è l’ingresso di una donna con la figlia adolescente: qualche sbuffo ad evidenziare i circa cinque minuti d’attesa per l’arrivo dell’infermiera addetta all’accettazione ed un confronto, prima della scelta delle due di andarsene scuotendo la testa. Proprio in quel momento entrano altri due vigilantes: sono le guardie giurate che presidiano l’esterno dell’edificio, girando attorno al complesso. In attesa che il totale salga a quattro unità, stando se non altro a quanto emerso a seguito dell’ultima riunione in prefettura del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica sono quindi tre i vigilantes che monitorano il pronto soccorso, fra ambienti interni ed esterni.
Il pronto soccorso del ’Santo Stefano’ è specialmente nei fine settimana il riferimento per qualsiasi problema sanitario, anche il meno grave possibile. Il punto di prima accoglienza è arrivato a registrare in giornate di punta fino a trecento richieste di accesso.
“Le aggressioni? Quelle delle ultime settimane erano casi-limite, ma intemperanze di vario genere sono purtroppo all’ordine del giorno. Faccio questo lavoro da anni, ormai sono abituato – commenta una delle guardie – se ho notato differenze rispetto a dieci o più anni fa? Mi sembra di ricordare come allora non fosse così frequente che un utente aggredisse, anche solo verbalmente, un medico ed un infermiere. Oggi purtroppo non è così”.
Non mancano episodi curiosi: intorno alla mezzanotte entra in carrozzina una cittadina cinese, forse con un piede fratturato, accompagnata da sei connazionali. Nessuno di loro riesce tuttavia a spiegare cosa sia successo e cosa abbia la paziente. “C’è qualcuno che parla italiano?” chiede l’infermiera dopo diversi minuti di colloquio senza esito, ricevendo risposta negativa. Succede anche questo, a quanto pare. Fra le azioni di contrasto alla violenza contro gli operatori, la prefettura ha annunciato qualche giorno fa trenta nuove telecamere da installare tra l’ospedale ed il parcheggio dei dipendenti, con una “control room “per il monitoraggio costante e complessivo. Chissà però che, in quest’ottica, non possa essere utile anche un interprete.