REDAZIONE PRATO

Padre Bormolini: "La sfida da vincere: far conoscere davvero le cure palliative"

Il monaco: "Il suicidio assistito? Se il paziente è rassicurato sulla gestione del dolore le richieste diminuiscono". "La solitudine come malattia nella società occidentale". Le parole su Prato "laboratorio per il futuro".

Il monaco: "Il suicidio assistito? Se il paziente è rassicurato sulla gestione del dolore le richieste diminuiscono". "La solitudine come malattia nella società occidentale". Le parole su Prato "laboratorio per il futuro".

Il monaco: "Il suicidio assistito? Se il paziente è rassicurato sulla gestione del dolore le richieste diminuiscono". "La solitudine come malattia nella società occidentale". Le parole su Prato "laboratorio per il futuro".

Capire dove finisce l’uomo e inizia il religioso è difficile e probabilmente un esercizio inutile. Fede e materia, meditazione e vita attiva, convivono come le basi di uno stesso ponte: distanti ma unite saldamente. L’esercizio utile, piuttosto, è provare a guardare, assieme a padre Guidalberto Bormolini, monaco dei Ricostruttori nella preghiera al Borgo, a un orizzonte che è un po’ più alto di quello dove il sole muore. Sicuramente molto più alto della protesi digitale che è diventata la nostra mano. Un orizzonte che ci riguarda più di tutto il resto, dopotutto: la vita, anche nella sua fine. Provare a guardare, insomma, "attraverso".

Voi collaborate con istituzioni regionali al Tavolo regionale di umanizzazione delle cure. Qual è la sua posizione riguardo alla nuova legge sul fine vita in Toscana? Ritiene che essa rispetti il valore della dignità umana?

"Penso che ci sono problemi a monte più urgenti da affrontare di quelli a valle. Le cure palliative: tanti conoscono la parola, ma non sanno davvero di cosa si sta parlando. Il 60% delle persone che entra in un hospice non sa perché è lì. C’era da fare un dibattito a monte, prima di far quello a valle. Se a monte ho una fabbrica che inquina un fiume il problema non lo risolvo ripulendo il fiume, ma andando a lavorare sulla fabbrica. Occorre far conoscere davvero le cure palliative, farle arrivare a tutti per far capire che il problema si può risolvere con questo strumento. Il 57% degli italiani non sa se le cure palliative sono attive nel proprio territorio. Sarebbero necessarie nell’84% dei decessi, ma, tra i malati oncologici, vengono ricevute solo da una persona su tre. Pensi che l’unica scuola italiana per formare gli assistenti spirituali in Cure palliative che abbia un valore istituzionale, co-fondata dall’Associazione TuttoèVita, dalla Società Italiana Cure Palliative e dalla Federazione Cure Palliative, ha sede proprio qui a Prato, alla Villa del Palco".

Insomma, le istituzioni possono lavorare sulla diffusione della conoscenza: attraversare la sofferenza in modo dignitoso si può.

"Sì. Il punto, poi, è che viviamo in una società algofobica, come la definisce il filosofo di origine coreana Byung-Chul Han, cioè che ha la fobia della sofferenza. A livello sociale questo ci conduce ad una sorta di anestetizzazione che contagia anche la politica, la quale diventa incapace di operare le riforme più urgenti perché anche dolorose. Ma a monte di quel famoso fiume di cui si diceva c’è anche un altro problema...".

Quale?

"La solitudine. Questa del suicidio assistito spesso è soluzione cercata da parte di chi non si sente avvolto di amore. ‘La tenebra è solo una grande domanda di luce’ scriveva Alda Merini. Oggi la gente muore in solitudine marcendo in casa. E’ un problema soprattutto della società occidentali. D’altronde sono solo i governi di alcuni paesi ricchi che hanno istituito un "Ministero per la solitudine". C’è ad esempio in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti Vivek Murthy, a capo della sanità pubblica, ha parlato di una vera e propria epidemia di solitudine e isolamento. Gli studiosi dicono che il rischio di morte prematura per chi vive in solitudine può aumentare del 30%".

Una società sempre più social, ma che ha perso il senso di comunità, in fondo.

"Nella società della prestazione, nei Paesi occidentali l’anziano è uno scarto perché non rende, non produce. Pensiamo a questo. In tutto il resto del mondo l’anziano è al vertice della società. Qui muore marcendo, ignorato da tutti".

La sfida quale diventa?

"Prenderci cura dei due bisogni fondamentali nei tempi ultimi: non soffrire e non essere lasciati soli. Ci sono studi che confermano che quando il paziente è rassicurato sulla presa in cura e la gestione del dolore, le richieste di suicidio assistito tendono a ridursi, praticamente a scomparire".

Lei ha scelto di fermarsi a Prato. Come sta la nostra città?

"Io sono contento di stare qua, sono convinto che possa essere uno dei laboratori più interessanti per governare il futuro. Prato non è una metropoli, ma non è nemmeno un piccolo paesino. Bugetti, che è un’amica, appena diventata sindaca aveva portato qui la giunta in ritiro spirituale. Come sognare la città del futuro: la riflessione era questa. Quella pratese potrebbe essere la realtà giusta per fare una ricerca per capire se avere una visione integrale dell’essere umano, quindi corpo-psiche-spirito, ci permette di avere uno sgardo integrale sul futuro".

Ma è una realtà che soffre anche alcune conflittualità.

"Credo che molte conflittualità cittadini-città ci siano perché le persone non sono state abbracciate in tutte le dimensioni".

Maristella Carbonin