Dal Paradiso della serie A di calcio all’Inferno della dipendenza da cocaina, per poi tornare a rivedere le stelle, sognando un rientro nel massimo campionato italiano. Ovviamente non più da portiere, ma da allenatore degli estremi difensori del domani, ruolo che oggi Angelo Pagotto ricopre al Prato, dove è arrivato in estate, accettando la sfida offertagli dai biancazzurri di insegnare ai più giovani non solo come si para, ma anche come ci si rialza dopo una brutta caduta.
E di cadute, anche rovinose, Pagotto ne sa qualcosa, fra squalifiche per doping a causa dell’uso di cocaina (la prima nel 2000, la seconda nel 2008, che ha sancito la fine della sua carriera da calciatore), accuse di truccare le partite e altre vicissitudini, di cui Pagotto ha parlato anche a Le Iene, con la troupe in visita nella giornata di ieri prima nella sua casa nel Mugello e poi al centro sportivo di Mezzana. Vicissitudini che lo hanno portato pure a Prato, dove – grazie all’aiuto della sorella – ha lavorato in passato in un’azienda di abbigliamento, occupandosi di spedizioni, prima di dedicarsi nuovamente alla sua grande passione: il pallone.
Ha raccontato di vivere sereno adesso, ma dover abbandonare il mondo del calcio a seguito di una squalifica per doping deve essere stata dura. Come ha vissuto quel periodo?
"La seconda squalifica è terminata da sette anni e in questo periodo ho affrontato un lungo percorso di crescita. La storia della cocaina è ormai alle spalle: ogni tanto ne ho fatto uso all’epoca. Era un periodo difficile della mia vita, ma si parla ormai di quasi 20 anni fa. Nessuno specialista mi ha dato una mano, ho fatto tutto da solo per uscirne: dopo la squalifica ho avuto un momento di sbandamento, poi piano piano ho cercato di rialzarmi. E visto che il rientro nel mondo del calcio era ancora lontano, ho trovato nuove prospettive nel lavoro, trasferendomi anche in Germania per fare il cuoco e il pizzaiolo nella pizzeria dei fratelli della mia ex moglie".
Nonostante tutto, il calcio è rimasto nel suo cuore.
"Assolutamente. Sto studiando per migliorarmi sempre di più come allenatore dei portieri. Adesso sto affrontando il corso GK A, che mi permetterà di lavorare anche all’estero. Il sogno è quello di arrivare in un grande club di serie A. Altrimenti, va bene anche una bella scuola calcio o un settore giovanile di livello".
Il mondo del calcio è stato anche ingiusto nei suoi confronti?
"Mi hanno accusato due volte di truccare le partite, una volta al Perugia e un’altra alla Triestina. Era un periodo nel quale si cercava di attaccare i nemici provando a diffamarli. Per quanto riguarda la prima squalifica per doping nel 2000, ci sono stati degli errori evidenti: non lo dico io, ma un magistrato. Purtroppo ne ho pagato le conseguenze. Avrei dovuto confessare forse, così avrei avuto più soldi nel portafoglio. Ma sono sempre stato un ragazzo istintivo. Non ho mai avuto persone al mio fianco che mi consigliavano. Ora invece c’è mia moglie, che riesce a darmi equilibrio. Negli ultimi 10 anni, la mia vita è cambiata parecchio. Ho affrontato anche la depressione. E per affrontarla è stato necessario assumere psicofarmaci, che ancora adesso sto prendendo. Ma la mia vita ora è molto serena".
Come è cambiata?
"Dopo le mie vicissitudini ho deciso di trasferirmi qui sulle montagne, nel Mugello, dove ho trovato la serenità necessaria".
Qualche rimpianto ce l’ha se ripensa al passato?
"E’ ovvio. Nel 1996, quando abbiamo vinto con la Nazionale Under 21 l’Europeo, io e Buffon eravamo i portieri più promettenti. Lo ripeto: purtroppo non ho avuto con me delle persone pronte a darmi i consigli giusti. Avrei sicuramente potuto far meglio, ma ho comunque avuto la fortuna di giocare in serie A".
Cambierebbe qualcosa?
"Gli errori fatti in passato mi hanno portato ad essere l’uomo che sono adesso. Non cancellerei niente: lo dico sempre ai miei ragazzi che gli sbagli che commettiamo ci servono per crescere".
Francesco Bocchini