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Giovani e “pietre d’inciampo“ in piazza del Duomo a Prato
A Prato, nel marzo del ’44, ci fu una caccia all’uomo. Furono presi in fabbrica o nelle case, rastrellati per strada dalle truppe naziste e fasciste. Parenti e colleghi di lavoro mai tornati da quei campi, senza saperne di più. Il Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato è proprio il luogo nel quale si cerca, si raccoglie, si ricostruisce la vita dei singoli e della comunità. Ci mobilitiamo per nuovi ricordi e testimonianze".
Sono le parole di Massimo Chiarugi, animatore nella frazione pratese di Viaccia del circolo "La libertà del 1945", un nome che profuma della sua vita spesa, anche da vicepresidente Arci, per i valori democratici. Da circa tre mesi è stato nominato presidente della Fondazione e guida del consiglio di amministrazione del Museo e Centro di documentazione della Deportazione e della Resistenza a Figline. Un incarico che gli fa battere forte il cuore. A gennaio, in occasione della Giornata della memoria, ha partecipato al meeting organizzato dalla Regione Toscana al teatro del Maggio fiorentino per ricordare gli ottanta anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. C’erano tantissimi studenti e i loro insegnanti.
"C’è stata la testimonianza delle sorelle Bucci e un nutrito gruppo di studentesse e studenti, dopo averle ascoltate, è andato ad abbracciarle. Ho pensato a quando ero un ragazzo. Come io avevo imparato dai più anziani a vigilare sul presente e sul futuro, anche questi giovani stavano imparando. Vigilare è necessario. Serve prestare attenzione all’intolleranza, al razzismo, alla sopraffazione, perché il fascismo si alimenta di tutto questo". Non bisogna mai smettere di trasmettere memoria e di alimentarla con le testimonianze ancora presenti in una catena di solidarietà che non deve mai spezzarsi.
Quei giorni del 1944, fra il 4 e l’8 marzo, dovevano essere giorni di lotta a Prato come in altre città italiane. Divennero tragedia e e dolore. Dietro lo sciopero per fare cessare il trasferimento di mano d’opera in Germania e contro sfruttamento degli impianti produttivi a favore dell’industria bellica del Terzo Reich, oltre le rivendicazioni economiche, c’era un chiaro intento politico: dire no alla guerra e al fascismo. Quando il Cln dell’Alta Italia proclamò lo sciopero generale nei territori ancora occupati dai nazifascisti, a Prato i lavoratori aderirono con forte slancio. La partecipazione allo sciopero coinvolse le fabbriche più importanti. La protesta operaia si intrecciò con la lotta partigiana. Dopo lo sciopero, immediata e durissima fu la reazione nazifascista. Gli uomini, in tutto 152, anche giovanissimi, furono prelevati con forza dalle fabbriche e dalle case, rastrellati per strada, condotti nei campi di concentramento. Quei fatti sono diventati, oltre la cronaca, le storie individuali e la storia collettiva della comunità. Adesso il Museo con La Nazione lancia l’operazione memoria. Familiari e parenti, amici, colleghi di lavoro, conoscenti possono diventare i "nuovi testimoni" della deportazione di Prato. Un incrocio virtuoso tra memorie personali e i documenti già archiviati nelle sale del Museo, capace davvero di aiutare a dare ulteriore forza alla memoria collettiva. Per raccontare, per ricomporre insieme la storia dei deportati si può scrivere a [email protected] oppure a [email protected].
Marilena Chiti