Popolare di Vicenza, nuovo stop. Il processo si blocca in Cassazione

I giudici supremi rinviano gli atti alla Corte costituzionale sulla legittimità della confisca dei soldi agli imputati. Gli azionisti sono ancora in attesa di ricevere i risarcimenti. Sospesa la prescrizione.

Ancora un ostacolo ai possibili risarcimenti nei confronti degli ex azionisti raggirati dalla Banca Popolare di Vicenza. Una storia infinita che adesso è approdata alla Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi in merito alla "confisca obbligatoria per equivalente dei beni utilizzati per commettere il reato , per sospetto contrasto col principio costituzionale, convenzionale ed eurounitario di proporzionalità". Si parla dei 963 milioni di euro confiscati agli imputati nel processo di primo grado ma poi "liberati" in Appello. A rinviare la questione sulla legittimità constituzionale della confisca alla Consulta sono stati i giudici di Cassazione (quinta sezione) a cui hanno fatto ricorso non solo gli imputati (Gianni Zonin, ex presidente della BpVi, in testa) ma anche la procura generale di Venezia e l’amministratore della banca in liquidazione coatta.

Gli ex azionisti (circa mille in tutta Italia di cui cento a Prato, quest’ultimi assistiti dagli avvocati Francesco Querci e Francesca Meucci) hanno presentato ricorso in Cassazione dopo la sentenza di Appello che ha di fatto dimezzato le pene agli imputati e cancellato la confisca dei beni, unica speranza di riavere indietro una parte dei soldi persi nell’acquisto delle azioni della banca comprate quando queste avevano un valore di molto inferiore a quello a cui erano state vendute.

Nell’ottobre 2022 la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la condanna di Zonin per il crac della Banca, ma ha accordato al banchiere un grosso sconto di pena: 3 anni e 11 mesi contro i 6 anni e 6 inflitti in primo grado. Stessa condanna, 3 anni e 11 mesi per l’ex dg Andrea Piazzetta, di poco inferiore quella per l’ex consigliere Massimiliano Pellegrini, per l’ex dg Paolo Marin e per l’ex dg Emanuele Giustini. Nella sentenza era stata anche revocata la confisca per equivalente disposta nei confronti degli imputati di 963 milioni di euro. La sentenza venne rivista – rispetto a quella di primo grado del dicembre 2020 – in virtù del fatto che alcuni reati – come l’aggiotaggio – erano prescritti e perché vennero riconosciute le attenuanti.

Le parti hanno fatto ricorso ma adesso c’è stato il nuovo blocco in quanto la Cassazione ha rinviato la decisione sulla legittimità della confisca alla Corte costituzionale. Finché quest’ultima non si sarà espressa, la Cassazione non potrà esaminare i ricorsi. Una questione non da poco in quanto pendono molti risarcimenti e se le condanne venissero confermate gli ex azionisti potrebbero accedere alle provvisionali e soprattutto avrebbero terreno facile in sede civile. La prescrizione nel frattempo è stata sospesa.

Laura Natoli