Prato, 28 ottobre 2024 – Ennesimo suicidio in carcere, il settantasettesimo in Italia. Un uomo di 50 anni recluso nella sezione “protetti” si è tolto la vita alla Dogaia di Prato, impiccandosi. Soccorso dopo l'allarme lanciato dal compagno di cella, il detenuto sarebbe morto in ospedale. È il quarto episodio tragico che riguarda il carcere pratese da inizio anno, a darne notizia è il segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Donato Capece, che afferma in una nota: "Questo ulteriore suicidio avvenuto nel carcere di Prato deve far riflettere sulla condizione in cui vivono i detenuti e su quella in cui è costretto ad operare il personale di polizia penitenziaria".
Questi eventi, aggiunge Capece, "oltre a costituire una sconfitta per lo Stato, spesso segnano profondamente i nostri agenti che devono intervenire. Si tratta spesso di agenti giovani, lasciati da soli nelle sezioni detentive, per la mancanza di personale. Servirebbero anche più psicologi e psichiatri, vista l'alta presenza di malati con disagio psichiatrico. Spesso, anche i detenuti, nel corso della detenzione, ricevono notizie che riguardano situazioni personali che possono indurli a gesti estremi". Esprimendo ancora una volta sentimenti affranti e di costernazione, il segretario del Sappe torna a sollecitare provvedimenti concreti e risolutivi come le espulsioni di detenuti stranieri, l'invio dei tossicodipendenti in comunità di recupero e dei casi psichiatrici in Rems o strutture analoghe. "Non è più rinviabile una riforma strutturale del sistema- avverte Capece- anche ipotizzando eventualmente di ridurre il numero di reati per cui sia previsto il carcere e, conseguentemente, implementare delle pene alternative alla detenzione ed avviare una efficace struttura che consenta la loro gestione sul territorio".