LAURA NATOLI
Cronaca

Scarti tessili, l’antimafia blocca affari d’oro. Smaltimento illegale diventato sistema

L'inchiesta in Toscana: dalle manifatture cinesi ai capannoni dismessi, fino all’estero: ecco il percorso illecito dei rifiuti

Scarti tessili

Scarti tessili

Prato, 10 giugno 2021 - Un sodalizio criminale dedito allo smaltimento illecito degli scarti tessili. Tonnellate di rifiuti speciali (10.000 quelle individuate solo in questa inchiesta), in particolare ritagli di lavorazioni, che venivano stoccati in maniera irregolare, ammassati in capannoni in disuso o abbandonati, non solo a Prato ma anche a Pistoia, Firenze, Pesaro, Urbino.

Delle vere e proprie bombe a orologeria: stanzoni in cui i rifiuti tessili, altamente infiammabili, arrivavano fino al soffitto rischiando di trasformarsi in roghi. Il sodalizio criminale è stato smantellato ieri con l’arresto (sei in carcere e due ai domiciliari) – disposto dal gip di Firenze – di otto persone, italiani e cinesi, e 34 avvisi di garanzia ad altrettanti soggetti che avrebbero preso parte alla filiera dello smaltimento illecito partendo dal "porta a porta" nelle confezioni cinesi del Macrolotto per poi finire con l’abbandono incontrollato degli scarti in varie province italiane ma anche all’estero.

Tra le figure di spicco della presunta associazione criminale ci sono Alberto Rocchi, originario di Cascina ma residente a Prato (ex consigliere comunale dell’Udc a Cascina), amministratore di fatto di una serie di società, fra cui la Cascina Servizi e Recuperi srl; Paolo Bonistalli e la compagna Yanwei Chen, detta Eva, residenti entrambi a Castagneto Carducci; Qiang Wang, detto Davide, residente a Prato.

L’accusa è di associazione a delinquere dedita al traffico e allo smaltimento illecito di rifiuti. Secondo quanto ricostruito, Bonistalli, Chen e Wang facevano da tramite e interpreti per conto di Rocchi nelle confezioni cinesi del distretto pratese per acchiappare più clienti possibili a cui ritirare gli scarti prospettando risparmi maxi rispetto allo smaltimento regolare.

Il guadagno stava proprio nello smaltimento illecito, senza sottoporre gli scarti alla procedura di recupero necessaria per questo tipo di rifiuti. L’inchiesta della Dda di Firenze, coadiuvata dalla polizia municipale di Prato, ha ricostruito l’intera filiera dello smaltimento illecito degli scarti tessili raccolti mediante un capillare e radicato sistema di ritiro "a nero" presso le aziende manifatturiere.

Le 10.000 tonnellate di rifiuti rintracciati sono costituite da scarti e ritagli di tessuto frammisti a ritagli di carta, frammenti di plastica oltre a vari rifiuti tipici della produzione e confezione di capi di abbigliamento. Venivano stipati in capannoni industriali, container e semirimorchi, sequestrati a Prato, Pistoia, Pesaro Urbino e Firenze.

Sia i capannoni che i mezzi utilizzati per la raccolta presso confezioni o pronto moda cinesi presentavano autorizzazioni inesistenti, clonate da altre aziende o falsificate nella parte riguardante la possibilità di trattare i rifiuti tessili. Il profitto illecito è stato stimato in un anno e mezzo a 800.000 euro. Oltre al Nord Italia e le Marche l’organizzazione aveva avviato l’esportazione pure in Spagna.

L’indagine è partita nel 2018 quando c’è stato il primo riscontro investigativo con il ritrovamento di etichette di abbigliamento in cumuli di rifiuti abbandonati a Cascina (Pisa) ed è stato individuato un primo gruppo criminale, composto dai due italiani e dalla donna cinese, che si occupavano della raccolta dei rifiuti presso pronto moda e confezioni a Prato, con servizio di ritiro porta a porta.

Oltre allo smaltimento illecito dei rifiuti speciali, gli investigatori hanno pure rilevato, sotto il profilo fiscale, una contabilità parallela confermata da quadernoni di appunti manoscritti, con copertine multicolorate, anche scritti in cinese, trovati durante le perquisizioni e che affiancavano la documentazione ufficiale. L’attività successiva - intercettazioni, appostamenti, pedinamenti, tracciatura dei mezzi mediante apparati satellitari - ha portato gli investigatori a individuare due filoni di smaltimento parallelo, nelle Marche e in regioni del Nord in capannoni industriali dismessi, situati in luoghi appartati per i quali veniva corrisposto il canone di locazione solo i primi mesi.