GOFFREDO GORI
Cronaca

Si è spenta la voce di Giorgio Gatti, il baritono Una vita per la musica. Spezzata dal Covid

Aveva 73 anni. Nel cast della mitica Tosca in mondovisione con Domingo. Tanti i successi e le imprese. L’amore per la sua Poggio a Caiano

Il baritono poggese Giorgio Gatti, un’altra vittima del Covid. Si è spento ieri pomeriggio a Roma, dove abitava da anni, pur continuando a frequentare l’amata Poggio a Caiano. Aveva 73 anni e ancora tanta voglia di cantare, di vivere. Due settimane di ricovero in ospedale e purtroppo anche per lui nulla da fare. Sposato con la pianista Maria Teresa Conti, lascia anche il figlio Paolo e la madre Simonetta. Tanti i successi,

i riconoscimenti, i concerti

e le tournée, gli applausi

sui palconscenici di tutto

il mondo.

di Goffredo Gori

Il "buffo che fa sul serio", Giorgio Gatti, cantante lirico, baritono e attore, questa volta esce di scena davvero sul serio, facendoci piangere, portato via dal maledetto Covid, che già ha messo a lutto il teatro intero. E’ morto a Roma, lontano dalla sua Poggio a Caiano dove di recente l’abbiamo incontrato per la festa della sua mamma Simonetta, che ha compiuto 101 anni. Un’altra ironia su cui non c’è da ridere (meditava di fare un concerto dedica alla mamma insieme ad Alessandro Calamai, amico e baritono pratese). Quarantacinque anni di teatro spesi massimamente per quel repertorio "buffo" che ha scelto per passione e professione di fede in quei personaggi dimenticati dalla storia, a cui ha saputo ridare vita: repertorio raro e difficile che nessun altro cantante ha praticato quanto lui. E come lui. Tutti ricordano Il Sacrestano di Tosca in mondovisione nel luglio del 1992 accanto a Domingo e Zubin Mehta. Cui seguì ancora in mondovisione la partecipazione a Traviata e Rigoletto con la regia di Patroni Griffi. A noi piace ricordarlo nel Sacrestano della Tosca al Castello dell’Imperatore nel 2010, quando chi scrive, come regista, gli affidò le altre due parti "secondarie" dell’opera. Una scelta mai sperimentata che poggiava sulla consapevolezza di avere a disposizione un grande interprete, felice di cantare per la sua Prato, con un esercito di poggesi fra il pubblico ad appaludirlo. Poi fu la volta di Bohème, ancora al Castello, come Alcindoro e Benoit, figure portate da Gatti nei più grandi teatri. Ed era questa la qualità di Giorgio Gatti che ben seppe inquadrare Gian Carlo Menotti del Festival di Spoleto: "il grande artista è quello che nel suo spazio, anche di una sola battuta, riesce a rappresentare al meglio il personaggio che interpreta". E Franca Valeri in Lucia di Lammermoor nel ’73, dedica su foto di scena: "Io come regista sono molto contenta di te. Potrei chiederti anche in prosa". Una forza attoriale che Giorgio Gatti sapeva esprimere nel suo repertorio buffo. Aveva debuttato nel 1971 a Spoleto come Taddeo ne L’Italiana in Algeri di Rossini, e non molto tempo fa, al Giardino Buonamici (ma anche al teatro Magnolfi) di Prato volle ricordare quell’anniversario con uno spettacolo. Gatti come cantante lirico anticipò i tempi, formandosi proprio con quell’arte del buffo che imponeva all’interprete di impegnarsi a penetrare l’anima di personaggi a volte insulsi, barocchi, per renderli credibili.

E questo percorso cominciò proprio nella sua amata terra di Poggio a Caiano, dove - insieme a chi scrive- nel settembre del 1995 nacque l’idea di un festival dell’intermezzo buffo, proprio nel teatrino della villa medicea. Nacquero quattro titoli che fortunatamente ora sono registrati e distribuiti in video nel mondo. La Dirindina, La Serva padrona, L’impresario delle Canarie e Il Maestro di Cappella. Giorgio Gatti era devoto a Padre Pio che aveva incontrato. Diceva che a quel religioso doveva molto. Crediamo che debba molto anche a quei 124 personaggi da lui riportati in vita e che ora chissà dove lo stanno aspettando.