L’agguato di un commando di cinque persone (pare italiane) al picchetto dei lavoratori pachistani affiancati dal Sudd Cobas- Sindacato unione democrazia dignità a Seano ha scoperchiato la pentola su un fenomeno che caratterizza il cosiddetto ’distretto parallelo’. L’episodio, tra domenica e lunedì, è stato di una gravità e di una violenza tali da ricevere una condanna corale dalle varie voci politiche, sociali e civili di Prato e non solo. Un attacco nel quale sono rimaste ferite quattro persone tra operai pachistani e sindacalisti. Un’azione di protesta avviata domenica scorsa con lo «strike day», uno sciopero in contemporanea davanti ai cancelli di 5 microimprese cinesi. Perché di domenica? «Perché fino ad ora questi operai lavoravano 7 giorni su 7 per 12 ore giornaliere, quando il contratto nazionale parla di 5x8, ovvero 40 ore settimanali. Questo sabato per quelli delle aziende nelle quali abbiano raggiunto un accordo sarà il primo sabato e la prima domenica senza lavorare, come da contratto», dice Luca Toscano, coordinatore Sudd Cobas. Se quattro aziende hanno accettato di regolarizzare, la quinta, la pelletteria Lin Weidong di Seano ha detto no. Al centro delle proteste le condizioni di lavoro nelle imprese a conduzione cinese con lavoratori a nero o assunti con fasulli contratti part-time. Il presidio non ha mollato: è sempre lì tra la solidarietà e la vicinanza espressa a tutti i livelli. Sudd Cobas ha indetto per domani alle 17,30 in via Galilei a Seano una manifestazione antimafia. Don Andrea Bigalli, referente del coordinamento regionale di Libera, in relazione all’episodio di Seano sostiene che «il problema è complesso, serve una mediazione culturale, non basta la repressione. Quanti sono i pratesi che hanno preferito vivere di rendita grazie ai cinesi? Dovrebbero fare mea culpa». E intanto la cronaca offre sempre nuovi spunti: 21 lavoratori stranieri a nero di un’azienda agricola di Lari individuati dai carabinieri a Casciana Terme. Il titolare dell’azienda multato di 87 mila euro.
Firenze, 12 ottobre 2024 – Era il 1° dicembre 2013 quando un incendio nell’azienda Teresa Mode, nel Macrolotto di Prato, costò la vita a sette lavoratori cinesi, squarciando il velo su un preoccupante quadro di irregolarità e insicurezza. Poco dopo, per evitare che tragedie del genere potessero ripetersi, venne creata una task force fra le varie Asl di Firenze, Empoli, Prato e Pistoia (non esisteva ancora la Ausl Toscana Centro) e furono assunti 74 tecnici della prevenzione per effettuare le verifiche. Da allora molto è stato fatto, ma tanto resta da fare. A raccontarlo è Renzo Berti, direttore del Dipartimento di prevenzione della Ausl Toscana Centro, che ha coordinato i controlli dall’inizio.
Come iniziò il lavoro della task force?
«Dopo un periodo di formazione del personale, iniziammo a lavorare dal 2 settembre del 2014, su un campione selezionato di 7.700 aziende considerate a rischio. In due anni le visitammo tutte, concentrandoci sui macro-fattori di rischio. Erano insomma controlli veloci, perché l’obiettivo era completare rapidamente il primo giro di verifiche».
Che situazione trovaste?
«All’inizio solo il 19,9% delle aziende di Prato risultò in regola sui macro-fattori di rischio, mentre nelle altre zone la percentuale fu del 34,2%. Trovammo molti ambienti promiscui, in cui si lavorava e si viveva, con grandi rischi per la presenza di bambini, loculi in cartongesso, impianti elettrici non a norma, mancanza di uscite di sicurezza, bombole del gas e fornellini per cucinare».
Da allora quanti controlli avete fatto?
«In tutto 19.735, il che significa che diverse aziende sono state controllate più volte. Fra queste si contano: 7.807 confezioni, soprattutto a Prato, 3.801 pronto moda, 3.254 pelletterie, 717 fra maglierie, stirerie e gruccifici. A Prato il 91,2% delle ispezioni ha coinvolto anche altri soggetti, come l’ispettorato del lavoro o le forze dell’ordine; complessivamente siamo al 76,5%. Dal secondo semestre 2014 al 1° luglio 2024 abbiamo riscosso 27 milioni e 870mila euro di multe: soldi destinati a un fondo della Regione per interventi di prevenzione. All’inizio andavamo al ritmo di quasi 5 milioni di euro l’anno; adesso siamo alla metà. Anche i controlli sono meno: nel 2024 ne abbiamo previsti 922, dei quali 750 nel pratese. Un minor numero legato anche alla scelta di fare le verifiche più accurate, con più tempo».
Cosa è cambiato?
«Oggi il 64,9% delle aziende pratesi controllate è in regola, mentre complessivamente siamo al 65,8%. I dormitori abusivi sono scesi dal 9,7% al 2% e sono molto cambiati: a volte troviamo dei divani, ma raramente loculi in cartongesso. Anche gli impianti elettrici, che erano non a norma nel 18,1% dei casi, oggi lo sono nell’1,1%. Le notizie di reato sono passate dal 55% al 24,6% dei controlli. È cambiata anche la tipologia di persone: un tempo trovavamo datori di lavoro e operai cinesi; adesso i dipendenti sono soprattutto bengalesi, africani, pakistani... Si nota anche una minor propensione ad accettare la sfruttamento e, fortunatamente, una maggiore tendenza a protestare e ribellarsi».
Quindi un netto miglioramento?
«Sì ma non basta. Sappiamo che molte aziende si sono adeguate soprattutto per paura dei controlli. Anche se il quadro è cambiato è quindi importante non abbassare la guardia».