Alla tessitura Welltex, azienda a conduzione cinese, la protesta degli operai pakistani va avanti da due settimane. Il picchetto con gazebo e tre tendine per dormire la notte prosegue senza sapere quando vi si potrà mettere la parola fine. Di fatto, loro, gli 11 lavoratori che erano stati regolarizzati pochi mesi fa, precisamente a marzo, adesso, dal primo di novembre si trovano senza un lavoro e senza ammortizzatori sociali che possano sostenerli. Una ‘battaglia’ per il riconoscimento dei diritti avviata a marzo a fianco del sindacato Sudd Cobas-Sindacato Unione Democrazia Dignità. "Allora i lavoratori fecero sciopero per far emergere le condizioni di impiego a nero, contratti part time a 4 ore, ma ore lavoratore effettive 12 per 7 giorni, senza riconoscimento di ferie e di malattie – spiega Arturo Gambassi, sindacalista del Sudd Cobas – Uno stato di agitazione che sei mesi fa ha ottenuto la risoluzione sperata: tutti e 11 gli operai, dopo una settimana, sono stati regolarizzati con contratti di 8 ore per 5 giorni".
Di mesi ne sono trascorsi appena sei, ed ecco per i lavoratori della Welltex arriva l’inaspettata doccia fredda. "Da un giorno all’altro – racconta il sindacalista al picchetto insieme ai lavoratori di fronte al cancello chiuso dell’azienda tessile di via Luigi Galvani al Macrolotto 2 – i dipendenti si sono visti recapitare una lettera consegnata a mano: con questa missiva la proprietà informava della chiusura dell’attività alla fine di ottobre con preavviso di due settimane di rescissione dei contratti di lavoro. Un colpo al cuore per i lavoratori che si sono opposti allo smantellamento della fabbrica e dei macchinari, avviando da due settimane, uno sciopero e un picchetto davanti al cancello di ingresso della Welltex". Stando al sindacato non è stato possibile capire neppure se "l’azienda abbia deciso di chiudere per questioni legate alla crisi, sebbene nel distretto continuino ad esserci lavoratori sfruttati nel settore delle confezioni, oppure perché intende delocalizzare o ha altre idee. Del resto per la tessitura di via Galvani non abbiamo neppure riscontrato la presentazione di istanza di fallimento". L’unica risposta certa, è stato il no alla richiesta precisa del sindacato: "Fin da subito abbiamo invitato l’azienda ad attivare la cassa integrazione, ma ha sempre negato questa possibilità, anche in occasione del tavolo istituzionale convocato lunedì scorso in Prefettura – prosegue il sindacalista – dove si è seduto l’Inps. La domanda di ammortizzatori sociali è stata sollecitata anche dalle due istituzione: invito caduto nel vuoto". In questo momento a fronte di una dichiarata difficoltà del settore tessile, "il Governo ha concesso altre settimane da qui alla fine dell’anno di ’cassa’ proprio per le aziende tessili".
Oltre al danno, c’è pure la beffa, secondo il sindacato Sudd Cobas. "Se i lavoratori decidessero di fare domanda di Naspi, avrebbero in cambio pochi spiccioli. Il motivo? I contributi versati dall’azienda sono pochissimi, da quando è avvenuta la regolarizzazione". Ad ora le relazioni sindacali sono interrotte, in quanto "non si riesce a parlare più con nessuno della proprietà e ad aver risposte. Da qualche giorno non vediamo neppure più movimento all’interno dello stabilimento. Il rischio è che chi perde il posto debba tornare a lavorare 12 ore per 7 giorni in quell’ambito del tessile che non conosce crisi". E le istituzioni che cosa fanno di fronte a lavoratori che da un giorno all’altro si trovano senza un impiego? "E’ bene che le istituzioni abbiano preso coscienza dello stato di sfruttamento del lavoro e della mafia esistenti nel distretto, condannandoli, a partire anche dai recenti fatti di violenza a Seano contro gli operai in sciopero – conclude il sindacalista – A questo punto le istituzioni si spera che abbiano a cuore la tutela dei posti di lavoro regolare e la tutela del ruolo del sindacato all’interno delle aziende".
Sara Bessi