Deriso, offeso, picchiato, bullizzato e perfino abusato sessualmente. L’orrore si è consumato nel carcere della Dogaia dove a farne le spese è stato un detenuto, un italiano di 34 anni, in carcere per una condanna per furto, che è stato preso di mira dai suoi compagni di cella, due campani con alle spalle condanne a 30 anni. Gli episodi, che sono durati cinque giorni, risalgono a due anni fa e si sono interrotti quando il giovane pratese, assistito dall’avvocato Olivia Nati, trovò il coraggio di denunciare l’incubo vissuto mentre si trovava rinchiuso alla Dogaia.
I due campani sono oggi di fronte al collegio dei giudici per rispondere delle pesanti accuse di violenza sessuale di gruppo (la pena base parte da 8 anni), lesioni e tortura, una delle prime applicazioni del reato riferito a dei detenuti. La vittima infatti non era libera ed era affidata al controllo degli agenti della polizia penitenziaria. Il collegio dei giudici ha stilato un calendario fitto di udienze per arrivare il prima possibile alla conclusione del delicato processo.
Ieri sul banco dei testimoni sono sfilati la agenti della penitenziaria che all’epoca prestavano servizio nella quinta sezione della Dogaia dove la vittima era detenuta.
Il giovane italiano, tossicodipendente, doveva restare in carcere solo una settimana per una condanna a un anno e 4 mesi per un furto commesso ai danni duna zia. A causa di una aggravante era necessario il passaggio in cella prima di poter accedere alla messa alla prova, la possibilità di scontare la pena facendo lavori socialmente utili. Fin dal primo giorno della detenzione però, la permanenza alla Dogaia si è trasformata in un inferno per l’italiano. Secondo quanto riferito dal detenuto nella denuncia, i due compagni di cella lo avrebbero prima preso a male parole e in diverse occasioni lo avrebbero picchiato in modo feroce. Ci sarebbe stato anche un episodio molto violento nel quale i due hanno messo sulla testa della vittima una pentola bollente. Poi sono cominciate le violenze sessuali, ripetute, brutali. Il tutto è stato accompagnato da minacce e offese, parolacce tanto da infondere nell’uomo un senso di paura e soggezione. Nessuno si è accorto di nulla e la vittima non ha avuto il coraggio di denunciare se non dopo quattro giorni. A causa delle ripetute violenze e prevaricazioni la Procura ha contestato agli indagati il reato di tortura, una delle sue prime applicazioni. Durante le indagini il pm Valentina Cosci ha chiesto l’incidente probatorio nel quale il trentenne ha ripercorso il maniera lucida il suo calvario. Dopo la denuncia è uscito immediatamente dal carcere mentre i due aguzzini vennero trasferiti.
Laura Natoli