GIOVANNI PALLANTI
Cronaca

Un discorso storico: "Puntò il dito contro il cancro della corruzione"

L’analisi del messaggio di Papa Francesco lanciato a Prato nel novembre 2015. L’attualità delle sue parole (immigrazione, lavoro, legalità) rende il discorso. un punto di riferimento e un faro ’morale’ anche in prospettiva futura .

La mattina del 10 novembre del 2015 il Papa sul pulpito di Donatello

La mattina del 10 novembre del 2015 il Papa sul pulpito di Donatello

di Giovanni PallantiPRATOIl 10 novembre 2015 dal pulpito di Donatello, posto sull’angolo tra la facciata e il lato destro del Duomo di Prato, Papa Francesco si rivolse al popolo facendo un discorso di straordinaria importanza ancora oggi. Definì Prato "Città di Maria" per il culto che i pratesi riversano sulla cintura della Madonna. Usando quel simbolo per indicare alla Chiesa che doveva uscire dalle cattedrali e vivere fra la gente. Infatti quando ci si stringe i fianchi con una cintura, è uno degli atti principali di una donna, o di un uomo, che si appresta a uscire, a camminare, inevitabilmente insieme agli altri. Papa Francesco sapeva benissimo che Prato, uno dei primi distretti industriali tessili d’Europa, per molti aspetti era diventato una selva oscura dentro la quale convivevano sfruttamento delle persone, molte delle quali costrette a vivere dentro le fabbriche, mangiando e dormendo sul luogo del lavoro. Sapeva che in condizioni di lavoro di questo genere, era inevitabile il ricorso alla violenza, come accadeva e come continua ad accadere, soprattutto nella grande comunità cinese. Nonostante questo, Papa Francesco raccomandò ai pratesi la virtù cristiana dell’accoglienza e dell’integrazione: unico modo per amalgamare persone di cultura e tradizioni diverse.

Tutto questo, per il Papa morto il Lunedì dell’Angelo, era un dovere naturale per le persone innamorate di Cristo. Che consideravano l’umanità figlia del Creatore, del Dio Padre onnipotente, che non fa differenza fra lingue diverse, colore della pelle e usi e costumi fra di loro lontani. Papa Francesco però, rivendicava per tutti il rispetto dei diritti della persona umana: i lavoratori non possono essere sfruttati per fini economici, devono vivere in condizioni di lavoro che garantiscano la salute. In un passo del suo discorso alla città, denunciò anche il cancro della corruzione. Un male endemico, soprattutto dove la catena produttiva è fondata su una tradizione post schiavista. Qui la corruzione diventa uno scudo per tutelare quei cattivi datori di lavoro, che dovrebbero far garantire le leggi e la dignità delle persone. Come è successo anche recentemente a Prato, con il coinvolgimento di alcuni esponenti delle forze dell’ordine che si erano fatti corrompere per chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie e alle pratiche di sfruttamento intensivo.

Il discorso di Papa Francesco rimarrà nella storia di Prato e sarà utile rileggerlo ogni tanto, per domandarci a che punto è la vita civile della "Città di Maria". Un richiamo, anche universale, quello del Pontefice, contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, del mettere il dio denaro (Mammona) al posto dell’insegnamento di Gesù Cristo, alla fratellanza, all’uguaglianza dei diritti e alla libertà degli uomini e dei popoli. Ora Prato ha il privilegio di conservare questa memoria di un leader che ha vissuto, con la mente e con il cuore, e con grande semplicità, la speranza in un mondo giusto e migliore.