Vergogna caporalato: "Tredici centesimi ad abito. E’ la paga per noi schiavi"

Prato, operai cinesi sfruttati quattordici ore al giorno sette giorni su sette. Ma uno di loro ha il coraggio di denunciare e fa arrestare due imprenditori.

Vergogna caporalato: "Tredici centesimi ad abito. E’ la paga per noi schiavi"

Un fermo immagine del blitz della guardia di finanza all’interno del capannone

Operai a cottimo pagati una miseria: appena 13 centesimi per ogni capo di abbigliamento prodotto e confezionato. Turni di lavoro massacranti di 14 ore per sette giorni su sette. A scoprire il vaso di Pandora di due aziende a conduzione cinese che operavano nella più completa illegalità nel distretto di Prato, è stata la denuncia di un operaio cinese, senza permesso di soggiorno e quindi ricattabile, stanco dei continui soprusi per una paga da fame. È il triste e ormai noto quadro emerso dalle indagini della Guardia di Finanza dalle quali sono scaturite quattro misure cautelari, nei confronti di imprenditori cinesi coinvolti, a vario titolo, in attività di sfruttamento lavorativo di numerosi operai in due ditte di confezioni, emesse dal giudice per le indagini preliminari di Prato su richiesta della Procura della Repubblica di Prato, diretta dal procuratore Luca Tescaroli. In particolare, sono finiti agli arresti domiciliari i due gestori occulti di ditte individuali, mentre per due dei loro familiari è stata disposta la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Prato.

L’uomo, irregolare in Italia, che è stato messo sotto tutela e ha poi ottenuto (su richiesta della stessa procura) il permesso di soggiorno, aveva lavorato nella ditta di confezione "in luoghi - scrive la Procura - privi delle minimali cautele prevenzionistiche, senza nessuna tutela o garanzia sindacale, percependo un salario miserevole e dimorando in un alloggio di fortuna ricavato nel sottotetto di un’abitazione-dormitorio". In tutto sono 24 i lavoratori (in prevalenza cinesi) che sarebbero stati sfruttati, tutti costretti ad accettare stipendi corrisposti in modo irregolare in contanti e a nero "e senza garanzie in termini di tutele sindacali ed in tema di malattia, riposi settimanali, tredicesima e ferie".

Informazioni riportate anche nei diari scritti da ciascun operaio e ritrovati nell’ambito dell’operazione: una sorta di “agende di lavoro“ nelle quali ogni operaio, a fine giornata, annotava la produzione portata a termine con il conteggio del corrispettivo da riscuotere. A peggiorare il quadro, il fatto che parte dei lavoratori fosse alloggiata in dormitori "funzionali al sito di produzione, caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie carenti e da sovraffollamento". "La denuncia presentata da uno degli operai sfruttati – interviene il procuratore Luca Tescaroli – è segno che la comunità orientale non è così granitica e che si sta iniziando a penetrare il muro di omertà".

Le due aziende finite nel mirino si trovano in un complesso produttivo nella zona dell’ex Ippodromo di Prato, ed entrambe hanno come anello finale un pronto moda in via del Molinuzzo. Tutte e due attive da anni ma con diversi cambi di denominazione e partita Iva per evitare controlli e, soprattutto, il pagamento delle tasse. Oltre alle misure cautelari è stato eseguito un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip di Prato, sempre su richiesta della Procura, finalizzato alla confisca del profitto di reato, costituito dai debiti previdenziali dovuti, per un importo complessivo di oltre 184mila euro.

"E’ emersa la volontà dei gestori di fatto delle ditte di massimizzare il profitto a qualunque costo, sociale, umano, sanitario, previdenziale - conclude la Procura - obiettivo perseguito anche attraverso l’abbattimento del costo del lavoro, creando una evidente distorsione economico-concorrenziale con le altre aziende che rispettano le regole".

Silvia Bini