Violenza sessuale su minore. Borchi condannato a sette anni. Stangata dopo il lungo processo

Politico e figlio dell’ex vice sindaco della giunta Cenni, è stato accusato di aver abusato di una ragazzina di appena 13 anni che gli era stata affidata per motivi di studio.

Violenza sessuale su minore. Borchi condannato a sette anni. Stangata dopo il lungo processo

Violenza sessuale su minore. Borchi condannato a sette anni. Stangata dopo il lungo processo

La stangata è arrivata alla fine di un percorso lungo e doloroso per tutti. Gabriele Borchi, 46 anni, coordinatore provinciale vicario di Forza Italia e figlio dell’ex vicesindaco della giunta di Roberto Cenni, è stato condannato a sette anni per violenza sessuale su una ragazzina che all’epoca dei fatti era minorenne. La sentenza di primo grado è arrivata ieri in tarda serata dopo che accusa e difesa si sono date battaglia in un processo estenuante e combattuto. Alla lettura della sentenza, era presente in aula l’imputato che è rimasto "sconcertato", come sostenuto dai suoi legali (Manuele Ciappi, Massimiliano Tesi e Silvia Nesti), per la pesante condanna ricevuta. C’erano anche la ragazzina, che oggi ha 24 anni, e la madre di lei. Entrambe – oltre al padre – si sono costituite parte civile, assistite dagli avvocati Tiziano Veltri, Stefania Turano e Alex Baldassini. Il collegio dei giudici ha riconosciuto una provvisionale di 20.000 euro per la ragazza e 5.000 euro ciascuno per i genitori della vittima. Il pm Laura Canovai aveva chiesto una condanna leggermente inferiore, sei anni e mezzo, rispetto a quanto ha stabilito il tribunale che evidentemente ha accolto in pieno l’impianto accusatorio.

I fatti contestati, molto gravi, risalgono agli anni fra il 2014 e il 2015, quando la giovane non aveva ancora compiuto 14 anni. Secondo quanto ricostruito dalle indagini dei carabinieri, la relazione (consensuale) tra i due sarebbe andata avanti fino al gennaio del 2015 quando fu la ragazza – secondo la versione fornita dalla famiglia – a interrompere il rapporto. Borchi la aiutava a fare i compiti e, sempre secondo l’accusa, l’avrebbe molestata in più occasioni con messaggi, toccamenti ed effusioni molto spinte. Non si parla mai di rapporti sessuali completi. Nel capo di imputazione è contestato inoltre un episodio che sarebbe avvenuto dopo la fine della relazione, nell’agosto del 2015, quando i due si trovavano in vacanza all’estero e l’imputato avrebbe toccato la giovane nelle parti intime senza il suo consenso. L’inchiesta è partita dalla denuncia del padre della ragazza, seguita poi quella della madre. Le indagini si basano fondamentalmente sulle dichiarazioni rese dalla vittima durante l’incidente probatorio – ritenute credibili, puntuali e prive di contraddizioni – sulle chat intercorse fra i due, sulle testimonianze degli amici della ragazza e di una psicologa che la seguiva in quel periodo. "Le prove sono solide", ha detto il pm durante la requisitoria.

Borchi ha sempre professato la sua innocenza. Secondo la difesa, la madre della ragazza avrebbe messo su la figlia contro di lui per "vendicarsi" del fatto che l’uomo avesse interrotto la relazione quando la donna gli propose di andare a vivere insieme lasciando la compagna dell’epoca. "E’ arduo pensare che la madre abbia ’armato’ la figlia contro Borchi – ha replicato il pm – per vendicarsi della relazione interrotta o per un movente economico. La tesi difensiva è superata dalle evidenze processuali". Durante il processo la difesa ha più volte sollevato sospetti sulle modalità con cui sono state condotte le indagini sostenendo come uno degli investigatori, al tempo, intrattenesse una relazione con un’amica della madre della ragazza, fra l’altro testimone nel processo.

Un aspetto emerso più volte nel corso delle agguerrite udienze che però non ha distolto l’attenzione della procura, convinta della colpevolezza dell’imputato per quanto concerne la violenza sessuale sulla giovane il cui consenso "non è valido" per l’età.

"La decisione ci lascia perplessi perché onestamente c’erano tante ragioni, basate su altrettanti elementi, idonee a porre in un cono d’ombra di dubbio le prove di accusa – ha detto l’avvocato Ciappi – Quando si crede nella non colpevolezza del proprio assistito, è vietato sottrarsi all’onere della difesa e si devono affrontare anche cause complesse che espongono a rischio di condanna. Non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima, ma come sempre, leggeremo la sentenza e proseguiremo la battaglia in Appello".

"Non c’è mai da gioire quando c’è una condanna, tuttavia in questo caso è stata riconosciuta la responsabilità penale dell’imputato. Attendiamo le motivazioni", ha commentato l’avvocato di parte civile Veltri.

Laura Natoli