"Violenza sessuale su tredicenne". Chiesta condanna a 6 anni e mezzo. L’imputato: "Calunnie contro di me"

E’ arrivato alle battute finali il processo contro Gabriele Borchi che ieri ha rilasciato alcune dichiarazioni

"Violenza sessuale su tredicenne". Chiesta condanna a 6 anni e mezzo. L’imputato: "Calunnie contro di me"

"Violenza sessuale su tredicenne". Chiesta condanna a 6 anni e mezzo. L’imputato: "Calunnie contro di me"

Una requisitoria di un’ora nella quale ha ripercorso le tappe della vicenda giudiziaria, così come emerso dalle carte del processo. E’ stata quella del pubblico ministero Laura Canovai che ieri ha chiesto una pesante condanna a sei e sei mesi per Gabriele Borchi, 46 anni, vicario provinciale di Forza Italia, accusato di violenza sessuale su una minore di 14 anni che aiutava con i compiti. E’ così arrivato alle battute finali l’estenuante processo (la misura cautelare scattò nel lontano gennaio 2017 per fatti che risalgono al 2014-15) che vede Borchi alla sbarra. Un processo combattuto che non ha riservato momenti di tensione fra accusa e difesa (Borchi è assistito dagli avvocati Manuele Ciappi, Massimiliano Tesi e Silvia Nesti).

Ieri l’imputato era presente in aula, così come le parti civili: la ragazza, oggi 24 anni, e la madre, assistite dagli avvocati Tiziano Veltri e Lorenzo Baldassini. Prima della requisitoria Borchi ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee al collegio dei giudici (presieduto da Francesco Gratteri). Ha ribadito la sua innocenza, spiegando come sarebbe stato vittima di un "complotto" ordito dalla mamma della ragazza, con cui ha avuto una relazione clandestina, oltre che lavorativa. "Contro di me è stato montato un castello di calunnie", ha detto. Nella ricostruzione fatta dall’imputato, la donna avrebbe messo su la figlia contro di lui per "vendicarsi" del fatto che Borchi avesse interrotto la relazione quando la donna gli aveva proposto di andare a vivere insieme lasciando la compagna dell’epoca. Ci sarebbe, inoltre, un movente economico. Borchi ha puntato il dito su una intercettazione in particolare nella quale la madre, parlando con un’amica, ha detto: "Con i soldi del processo ci andiamo in ferie". L’imputato ha poi avanzato sospetti sulle modalità con cui sono state condotte le indagini sostenendo come uno degli investigatori, al tempo, intrattenesse una relazione con un’amica della madre della ragazza, fra l’altro testimone nel processo. Un aspetto emerso più volte nel corso delle agguerrite udienze che però non ha distolto l’attenzione della procura, convinta della colpevolezza dell’imputato per quanto concerne la violenza sessuale sulla giovane il cui consenso "non è valido" vista l’età.

"E’ arduo pensare che la madre abbia ’armato’ la figlia contro Borchi – ha detto Canovai nella requisitoria – per vendicarsi della relazione interrotta o per un movente economico. La tesi difensiva è superata dalle evidenze processuali. Le prove sono solide". Il pm ha spiegato come la ragazza sia stata sentita in incidente probatorio e abbia rilasciato dichiarazioni ritenute attendibili e coerenti. E’ lei la testimone fondamentale e prima accusatrice di Borchi. Poi ci sono i messaggi, i racconti degli amici, le pagine del diario. "Impossibile credere che tutte le persone coinvolte si siano accordate per dare la stessa versione dei fatti, compreso lo psicologo a cui la giovane si era rivolta", ha sostenuto Canovai.

I messaggi Whatsapp, acquisiti dalla procura nel telefono della vittima, sono stati un altro motivo di scontro. Messaggi fra Borchi e la giovane, molto espliciti sui rapporti intrattenuti. Per l’accusa sono una prova schiacciante della relazione, per la difesa sono un "falso". Sarebbero stati creati ad arte per incastrare l’imputato. Per fare ciò, la difesa ha simulato una falsa chat usando un finto profilo proprio del pubblico ministero. "Mi sembrava strano che li avessi potuti scrivere io", ha aggiunto Borchi nella sua dichiarazione.

Dopo la richiesta di condanna, la parola è passata alla parte civile. L’avvocato Veltri ha sottolineato come le presunte irregolarità nella condotta delle indagini non siano fondate in quanto è stato un gip, con l’evidenza delle carte, a disporre la misura cautelare nel 2017. La parte civile ha chiesto un risarcimento di 10mila euro per la ragazza, 20mila ciascuno per il padre e la madre. L’udienza riprenderà a giugno con l’arringa della difesa.

Laura Natoli