Prato, 6 marzo 2016 - Quando si è presentata al pronto soccorso dell’ospedale di Prato era sotto choc. La storia che da lì a poco sarebbe saltata fuori è davvero raccapricciante. A chiedere aiuto ai medici dell’ospedale Santo Stefano è stata una ragazza pratese poco più che ventenne. Ai sanitari ha raccontato di aver subito violenza all’interno della casa di accoglienza per profughi che si trova in una delle strade più centrali di Prato dove faceva la volontaria.
Il fatto - tenuto sotto silenzio per molto tempo - risale a qualche mese fa, quando la giovane prestava servizio come volontaria nella casa di accoglienza di via San Vincenzo, nell’ex scuola Santa Caterina trasformata, un paio di anni or sono, in ricovero per profughi e richiedenti asilo. La struttura è gestita dalla Fondazione Onlus Opera Santa Rita e ospita un’ottantina di profughi. La giovane era d’aiuto in sala mensa. Una sera, mentre stava sparecchiando, fu avvicinata da uno degli «ospiti» - un africano - che cominciò a farle pesanti avances.
La volontaria tentò di respingerlo ma i «complimenti» dell’uomo diventarono sempre più pressanti finché, afferrandola alle spalle, le mise le mani nelle parti intime. La donna riuscì in qualche modo a divincolarsi e a fuggire dalla stanza. Giunta al pronto soccorso per lo stato di choc in cui si trovava riuscì a raccontare ai medici la terribile vicenda. Del fatto fu informata la polizia e la giovane trovò il coraggio di sporgere denuncia. Delle indagini si è occupata la squadra mobile di Prato, diretta dal vicequestore Francesco Nannucci, e fu aperto un fascicolo affidato al sostituto procuratore Egidio Celano. In breve tempo, la Procura accertò il fatto chiedendo la misura della detenzione in carcere per lo straniero con la pesante accusa di violenza sessuale.
La richiesta della Procura si è scontrata con un sistema giudiziario, forse, troppo «morbido» per fatti gravi come quello. Il gip ha rigettato la richiesta di carcerazione spiegando che non era chiaro dove la vicenda fosse accaduta: un altro ospite della casa di accoglienza aveva testimoniato a favore del connazionale sostenendo di essere stato presente nella sala mensa quella sera e di non aver mai assistito a un episodio simile. Se il fatto era successo, aveva detto il testimone, non era avvenuto nella sala mensa. Una testimonianza che si scontra con quella sconvolgente e dettagliata della ragazza che ha trovato riscontri durante le indagini.
Al giudice non è bastato: non poter inquadrare il reato nella stanza dove si è consumato non dà certezza su come si siano svolti i fatti. Adesso l’africano è libero e - dopo un breve periodo trascorso nella casa di via San Vincenzo - se ne sono perse le tracce.