Prato, 16 febbraio 2019 - «La notizia è bella ma sono comunque triste». Vitangelo Bini, 89 anni, ha saputo di aver ottenuto la grazia dal presidente Mattarella ieri mattina dai giornali, insieme a un sacchettino di frittelle di riso che la figlia Angela gli ha portato per «festeggiare». Un calvario cominciato 23 anni fa con la malattia della moglie, Mara Tani, e finito giovedì sera quando ha cominciato a circolare la notizia della grazia concessa da Mattarella all’anziano condannato in via definitiva a sei anni e sei mesi per omicidio volontario avvenuto il primo dicembre 2007.
Bini, vigile urbano in pensione, è ancora confuso, chiuso nel suo appartamento a Prato da dove non esce quasi più. Non riesce a capacitarsi che l’incubo sia finito anche se «la pena se la porterà dietro per sempre», ha detto. Non gioisce per rispetto. Rispetto di Mara. «Ringrazio il presidente della Repubblica», ha detto Bini, nonostante il carattere schivo e la poca voglia di parlare. Poi ammette: «Rifarei quello che ho fatto, ma per lei. Per non vederla soffrire». Bini ha ucciso la moglie malata terminale di Alzheimer quando era ricoverata in ospedale a Prato. Il pensionato prese una pistola e le sparò tre colpi coprendole il volto con un cuscino per «non bruciarle il viso con lo sparo».
«Ho ricevuto tantissime telefonate da amici, conoscenti e parenti – dice la figlia di Bini, Angela –. In tanti vogliono bene al babbo. Oggi piangiamo tutti». Anche Angela si lascia andare alle lacrime. Questa volta di gioia: «Sono felicissima, ringrazio tutti. Ci sono tante persone che hanno capito la situazione con umanità infinita». Durante il processo a Bini sono stati trattati temi di forte attualità, come quello dell’eutanasia. Ma i giudici non hanno riconosciuto attenuanti per «chi uccide un malato grave e senza speranza». «Casi come il nostro dovrebbero far riflettere – riflette Angela –. Si dovrebbe poter scegliere liberamente come terminare la propria vita. C’è una dignità nella morte».
Laura Natoli