Firenze, 25 gennaio 2017 - Pitti Filati 80 ha debuttato stamani con le migliori intenzioni degli imprenditori pratesi, decisi a rilanciare il settore ripartendo da una performance in calo nell’ultimo semestre del 2016. Ma il salone - che presenta l’anteprima mondiale dei filati per maglieria per la stagione primavera estate 2018 - non ha registrato, almeno per ora, il gran viavai della passata edizione.
La fiducia resta alta nonostante il periodo di particolare incertezza sia a livello geopolitico che di mercato stile «montagne russe», con il quale quotidianamente si devono confrontare anche gli imprenditori pratesi. Il calo dell’export dei filati del distretto, come segnalato dal Consorzio promozione filati, presieduto da Ilaria Taddeucci Sassolini, ha interessato anche il mercato cinese. Nonostante questo, gli investimenti, l’innovazione, la ricerca e il servizio per i clienti caratterizzato dalla flessibilità, non hanno subìto alcun stop: il che indica la vitalità del distretto.
Sui mercati in calo e sui nuovi input economici che potranno derivare dagli Stati Uniti, gli imprenditori pratesi non la pensano tutti alla stessa maniera. Per Jacopo Bruni della Manifattura Ilaria, che ha vissuto per un anno a Shanghai, il calo delle vendite non è da ritenere una tendenza futura: «E’ proprio per l’inversione di tendenza impressa da Trump che la Cina svilupperà un proprio mercato come quello occidentale».
Allo stand di Ecafil Best di Giampiero Livi si accede ad un giardino segreto con i colori della collezione riproposti in un Eden a dimensione umana. «Siamo legati al mercato degli Stati Uniti e a gruppi europei. Il 2016 è stato un anno difficile e ciò che che conta adesso è tornare a produrre: per farlo sono necessarie facilitazioni sempre promesse e mai attuate».
Per Raffaella Pinori di Pinori Filati il problema è non tanto se la Cina ci abbandonerà o se calerà ancora l’export: «In un mercato a montagne russe è fondamentale essere flessibili».
Per la Manifattura Pecci il rapporto con la Cina non vive di alti e bassi: «Abbiamo un solido percorso con le aziende orientali, che difficilmente si allontanano. Per quanto riguarda l’America le dichiarazioni di Trump fanno pensare ad un’inversione di tendenza: dobbiamo beneficiare del dollaro e tenere la posizione», dicono Roberta Pecci e Pierluigi Marrani.
Allo stand di Filpucci, Federico Gualtieri evidenzia un fenomeno piuttosto chiaro: «Brand francesi ed americani (Polo, Hermes, Chanel, ndr) sono tornati a produrre in Italia. Purtroppo le luci e le ombre del mercato si riflettono anche sull’andamento della nostra azienda: fino a giugno abbiamo fatto il 20% in più di fatturato rispetto al 2015. Poi c’è stato il crollo e abbiamo chiuso il 2016 con un -5%».
Luci e ombre del mercato hanno avuto ripercussioni anche su Lineapiù Italia: «Dopo sei anni di aumento - spiega Alessandro Bastagli, presidente della società - per la prima volta si chiude con una flessione del 2% con una diminuzione di 13mila chili su un milione e 32mila chili prodotti».
Francesco Lucchesi di Industria Italiana Filati: «Il 2017 si è aperto all’insegna di tante speranze e poche certezze. Unico segnale buono, la ripartenza della Russia, mercato importante per il tessile pratese».
Stefano Milanesi della New Mill pone l’accento sulla manodpera: «Se Trump vuole riportare la manodopera negli Usa, vorrei che anche in Italia ci fosse uno come lui che dicesse che chi produce all’estero deve pagare grossi dazi».
Sara Bessi