Prato, 3 giugno 2019 - Quarant'anni, da compiere fra sei giorni. A quest’età gli sportivi hanno solitamente già intrapreso un’altra vita, passando magari dal campo (o dalla vasca) alla scrivania. E poi c’è Stefano Tempesti, che qualche giorno fa si è laureato campione d’Italia per la quattordicesima volta con la Pro Recco. E nonostante una bacheca stracolma di trofei (italiani, mondiali, europei ed olimpici) la fame è la stessa di un ragazzino, così come la battuta pronta e l’ironia svelano la sua origine pratese. Con un sogno nel cassetto che però non tiene più nascosto: la sesta Olimpiade, prima di appendere la cuffia al chiodo.
Tempesti, la prima domanda è d’obbligo: come si trovano le motivazioni per continuare a giocare ad alti livelli, alla sua età?
«Pensando che ogni partita potrebbe essere l’ultima della carriera. Il tempo passa, non lo nascondo, un quarantenne nello sport a questo livello equivale ad un novantenne nella vita reale. Serve una cura maniacale nei dettagli, per restare al passo».
Ha attraversato tre generazioni di pallanuotisti: quanto è cambiata la pallanuoto odierna dal suo debutto?
«Si è improntata maggiormente sulla componente atletica, evolvendosi definitivamente in direzione del professionismo. Quando iniziai i professionisti veri erano pochi, tanti giocatori avevano un secondo lavoro. E la copertura mediatica di oggi ha se non altro giovato alla disciplina, rendendola trasversale».
Ricorda ancora il suo debutto?
«E chi lo dimentica? 5 giugno 1994, Florentia - Ortigia. Esordii parando un rigore a Parodi. Cosa avrei potuto chiedere di più?»
A cosa pensò in quel momento?
«Ai sacrifici compiuti per arrivare sin lì. Alla sveglia puntata alle 6 ogni mattina, per conciliare studio e pallanuoto. Alle tante rinunce: mentre gli amici si divertivano, io mi allenavo. Uno sportivo, per rincorrere il proprio sogno, spesso perde l’adolescenza. Serve anche un pizzico di follia, non so se oggi rifarei tutto. Forse sì, ma con un abbondante senno di poi».
L’Italia della pallanuoto sta attraversando una lieve flessione tecnica, ma resta competitiva: come si coltivano le nuove leve?
«Riscoprendo l’importanza delle piscine come luogo di aggregazione, in un’epoca in cui i social network hanno creato un mondo virtuale. Oltre che investendo sulle infrastrutture e stringendo la collaborazione fra le società e le scuo]e del territorio».
Ci sarà ancora un Tempesti in attività, quando smetterà di giocare?
«Ci sono già i miei nipoti, Federico e Riccardo. I miei figli sono ancora piccoli, ma le aspettative su di loro sarebbero altissime, qualora decidessero di ripercorrere le mie orme. Ecco perché, se dovessero scegliere un altro sport, sarei comunque felice».
Ma quando ha capito che parare sarebbe stato il suo destino?
«A tredici anni, guardando la Nazionale vincere l’oro olimpico a Barcellona. Così come la generazione precedente si era appassionata vedendo gli azzurri vincere a Roma, nel 1960».
In quella Nazionale c’erano Ratko Rudic, suo allenatore alla Pro Recco, ed Alessandro Campagna, attuale c.t. Azzurro. E che potrebbero essere ancora decisivi per il suo futuro.
«Il mio obiettivo, non lo nascondo, è meritare la convocazione per le Olimpiadi di Tokyo 2020. Dovrò giocare con continuità per riuscirci, ecco perchè sto valutando l’ipotesi di lasciare la Pro Recco. Sarebbe ad ogni modo un arrivederci, più che un addio».
Che cosa farà Tempesti da «grande»?
«Deciderò più avanti, intanto preferisco godermi il momento. E magari, chiudere con una medaglia olimpica al collo».