Tempo Reale e tempo della realtà: in mostra la collezione di orologi di Palazzo Pitti

Orologio da mensola 1810 circa

Orologio da mensola 1810 circa

La mostra Tempo Reale e tempo della realtà è nata dal desiderio di richiamare per la prima volta l’attenzione del pubblico sull’importante collezione di orologi conservata nei prestigiosi ambienti di Palazzo Pitti, attraverso una significativa scelta di tali oggetti d’arte (circa sessanta orologi selezionati da un patrimonio totale di oltre 200 esemplari, la maggior parte storicamente legati al Palazzo oppure acquisiti in seguito a donazioni per le collezioni museali), selezionati in base alla forma e destinazione d’uso ed ambientati in una suggestiva scenografia di arredi e dipinti coevi.

La monumentale figura marmorea di Kronos di Gherardo Silvani ci accoglierà per l'occasione nel cortile del Palazzo, per indicarci il percorso espositivo - allestito in alcune sale dell’Appartamento della Duchessa d’Aosta - alla scoperta delle molteplici forme che il tempo assunse nelle varie epoche in cui la Reggia fiorentina fu residenza di tre diverse dinastie: medicea, lorenese e sabauda.

Studiati per lo più come parte dell’immenso patrimonio di arredi ed opere d’arte del palazzo, gli orologi, testimoni (quasi) silenziosi dello scorrere degli eventi, furono importanti per poter regolare i ritmi della vita a corte, oltre che simboli di prestigio per chi li possedeva. Questo studio ha inoltre consentito di apprezzare, sotto le diverse forme di realizzazione, la straordinaria qualità degli orologi sia dal punto di vista tecnico scientifico che da quello storico artistico.

Questo strumento, dal valore già altamente simbolico per la sua funzione, diviene in quest’ottica l’unione di due poli solo all’apparenza opposti, la scienza e l’arte. L’insieme di due anime dunque: da una parte l’orologio vero e proprio, composto di meccanismi sempre più sofisticati e complessi, dall’altra la cassa che, nata per proteggere il delicato contenuto, si è andata trasformando in vero oggetto d’arte, dotato di un proprio valore autonomo. Per non tralasciare la parte più nascosta di tale manufatto, si è ritenuto utile per la comprensione fare introdurre la mostra da un filmato che ci fa entrare nella parte viva e pulsante degli orologi, il loro meccanismo. "Apprezzati anche a Firenze non solo come oggetti d’arte, spesso di lusso e pregio inaudito, ma anche per il fatto di essere automi meravigliosi – come si sa dalle fonti fin dai tempi di Lorenzo il Magnifico – gli orologi delle collezioni medicee e lorenesi ci restituiscono l’immagine di una corte dove le competenze meccaniche e tecniche erano ammirate non meno delle doti creative degli orafi che inserivano i meccanismi entro complesse decorazioni (molto spesso popolate di allegorie sul Tempo) e dove addirittura si stipendiava un orologiaio per mantenere in ordine i delicati meccanismi di questi oggetti preziosi." (E. D. Schmidt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi).

Prima che l’orologio meccanico fosse messo a punto e perfezionato, la ricerca degli scienziati si servì dei mezzi il cui funzionamento era basato sulla lettura degli astri, principale punto di riferimento legato al naturale passare delle ore e dall’alternarsi del sole e della luna. Vedremo quindi esposta una ampia panoramica di strumenti scientifici, come la replica del Giovilabio di Galileo o diversi esemplari di orologio solare, utilizzati per misurare il tempo prima della nascita dell’orologio e provenienti da altri musei fiorentini quali il Museo Galileo e il Museo Stibbert.

L’arte orologiaia affascinava i nobili abitanti della Reggia, che si servirono dei migliori maestri attivi in Italia, e non solo, invitandoli presso la propria corte per la creazione di importanti pendole. Esempio di questo particolare rapporto è un orologio da mensola realizzato dall’inglese Ignazio Hugford nei primi anni del Settecento per Cosimo III. Inseriti in un suggestivo e spettacolare allestimento, i segnatempo in mostra documentano stili di epoche diverse, ed i gusti di coloro che si successero sul trono del Granducato di Toscana: dalla sobria eleganza della religieuse decorata con lo stemma mediceo e con la mostra sorretta dalla figura alata e barbuta, allegoria del tempo, all’orologio raffigurante una maestosa Aurora, ogni pezzo ci dimostra quanto fosse importante dare al tempo una materializzazione simbolica. Il quadrante diviene così il centro di una composizione che avvolge l’incessante girare delle lancette; principali fonti di ispirazione per gli artigiani che decoravano questi manufatti furono le divinità mitologiche, personificazione di idee astratte legate allo scorrere delle ore, ma anche animali dal significato metaforico, come nell’esemplare di orologio da mensola allocato sul dorso di un elefante, simbolo di pazienza e longevità.

I segnatempo saranno affiancati a dipinti in cui, fra i ricchi fondali scenografici, è possibile ammirare orologi simili a quelli in mostra, permettendoci così di immaginare come dovevano apparire inseriti nel loro contesto originario. E’ questo il caso del grande Ritratto di Maria Luisa di Parma di Laurent Pécheux in cui appare una mostra d’ orologio in tutto simile allo strumento  che qui si espone, ma sostenuto da un rinoceronte anziché da un elefante. O ancora, potremo osservare opere concettualmente significative, come accade nel capolavoro Le tre età dell’uomo di Giorgione, in cui l’idea del trascorrere del tempo viene affidata ad una enigmatica lezione di canto, testimoniando una volta di più lo stretto rapporto del passaggio del tempo con la musica.

Accompagnati dal ticchettio degli orologi, e suggestionati dall’idea di udire gli stessi suoni che echeggiavano nelle sale di Palazzo Pitti quando era ancora Reggia, si arriverà quindi alla sezione dedicata al rapporto fra tempo e musica. Se nella teoria musicale il concetto di tempo indica l’andamento, ovvero la velocità di esecuzione della composizione, altrettanto importante è stata l’applicazione di congegni sonori al meccanismo dell’orologio, in modo da farlo suonare allo scoccare di ogni ora, o ancor più spesso. Questa consuetudine portò a sorprendenti risultati attraverso l’utilizzo dei segnatempo per il miglior funzionamento degli strumenti musicali. Superbo esempio ne è l’Orchestrion esposto nella Sala della Musica, congegno in grado di suonare come un’orchestra, regolato dall’orologio a lira posto sulla sua sommità. Inoltre, la creazione di orologi musicali fu spesso associata all’uso di automatismi, come nel caso dell’orologio da mensola a forma di voliera con uccellini meccanici colorati, in un intreccio fra tecniche di orologeria e meccanica dagli esiti sicuramente meravigliosi per gli spettatori dell’epoca.

Il corpus di segnatempo di Palazzo Pitti trova un perfetto completamento nelle donazioni da parte di collezionisti di importanti gruppi di orologi da persona, pervenute al Museo del Tesoro dei Granduchi a partire dal 1929. Esposta una selezione in mostra, questa tipologia di orologi si impose in maniera significativa a partire dai primi anni dell’Ottocento, per divenire sinonimo di eleganza sia maschile che femminile; anche in questa sezione gli orologi saranno accostati a dipinti così da poter osservare come si indossavano tali accessori. Verranno poi esposti anche veri e propri abiti, rimembranza dell’abitudine a vestire, secondo un preciso “galateo”, la mise giusta rispetto al momento della giornata. Oggetto funzionale, ma allo stesso tempo ornamento prezioso, l’orologio da indossare è un accessorio che muta di pari passo con il cambiamento sociale in atto alla fine del XIX secolo e che giunge alla sua metamorfosi definitiva con l’orologio da polso, così fondamentale per i nuovi, frenetici ritmi della vita nell’epoca moderna.

Il tempo Reale, tradotto nelle forme dei preziosi orologi delle Collezioni Granducali e Reali di Palazzo Pitti, si conclude simbolicamente con l’opera di Piero Bernardini La partenza del Granduca Leopoldo II da Firenze nel 1859, momento in cui le sorti della Toscana e dell’intera penisola viravano verso la realizzazione dell’unità nazionale. Il palazzo avrebbe di lì a poco cambiato il suo ruolo, divenendo spazio per il tempo della realtà, perdendo la funzione di reggia per acquisire quella di museo.

A fare da anello di congiunzione fra Ottocento e Novecento, una serie di preziosissimi gioielli contemporanei ispirati al tempo, come l’anello di Fausto Maria Franchi Ore perdute, o la collana d’ispirazione surrealista L’eterno ritorno di Virginia Tentindò, oggetti dall’importante contenuto concettuale che ci mostrano forme inedite per rappresentare il tempo. Questo piccolo approfondimento ci introdurrà all’ultima, sezione della mostra, dedicata al Novecento e allestita presso il Saloncino delle Statue all’interno del percorso della Galleria d’arte moderna. In questa sala saranno esaminati alcuni aspetti del nuovo modo di percepire il tempo nel XX secolo: un tempo straniante, come può essere quello racchiuso nella figura dello Straniero di Felice Casorati, o veloce e meccanico, come testimonia il Libro imbullonato di Fortunato Depero; oppure oggetto di ossessiva attenzione, come nell’opera lirica Il diavolo nel campanile, della quale viene esposto un'interessante interpretazione scenica di Dino Buzzati. Accezioni queste, di un tempo reale e di una concezione moderna che oramai ha preso il posto del tempo Reale, con la lettera maiuscola, tuttavia ancora presente nelle stanze di Palazzo Pitti grazie al suono dei suoi orologi.

La mostra a cura, come il catalogo edito da Sillabe, di Enrico Colle e Simonella Condemi, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le Gallerie degli Uffizi e Firenze Musei.