Firenze, 8 gennaio 2025 – “Parlare di sonno è molto importante. Oggigiorno manca la cultura e c’è ancora molta disinformazione su questo tema”: così la dottoressa Enrica Bonanni, responsabile del Centro di Medicina del sonno di Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-universitaria Pisana. Alla quale abbiamo chiesto una “fotografia” del rapporto tra i toscani e il sonno. "Il problema dell’insonne – dice – è che si rende conto di non dormire o di dormire male ma non si rende conto della gravità della cosa e di tutto ciò che può derivare da questo”.
Quando si parla di malattie del sonno a cosa ci si riferisce? Quali sono quelle più comuni e quante persone sono curate nel Centro di Medicina del sonno di Pisa?
“I disturbi del sonno sono molti, circa 60. Tutti insieme nel loro complesso interessano quasi metà della popolazione occidentale, molti sono anche trasversali in tutte le culture. Hanno una rilevanza notevole e si contendono il primo posto tra le patologie neurologiche insieme alla cefalea. È molto probabile quindi che un cittadino sia affetto da insonnia, cefalea o tutte e due. Dal rapporto dell’ultimo anno, 2024, nel nostro Centro si seguono circa 2000 pazienti, per la precisione 2088, così distribuiti: 840 persone soffrono di apnee ostruttive nel sonno, chiamate osas, 760 di insonnia. In realtà considerando la popolazione generale gli insonni sono di più degli osas, ma spesso i soggetti interessati non prendono seriamente in considerazione il problema e non si rivolgono quindi al nostro Centro. 120 sono invece le persone che soffrono di parasonnie, ovvero quei comportamenti che disturbano il sonno, tra i più famosi ci sono il sonnambulismo e l’enuresi. Abbiamo trovato, inoltre, negli ultimi 20 anni una parasonnia tipica dell’adulto, che compare dopo i 50 anni e può essere la spia di una malattia degenerativa che sta arrivando, molto spesso un Parkison. Guardiamo con attenzione speciale questo tipo di parasonnia e abbiamo organizzato in Italia, consorziati con altri gruppi nel mondo, un gruppo ‘Far presto’ per cercare di scoprire quali sono i fattori che la determinano. La nostra ambizione, non ancora realizzata, è di trovare una terapia che sia preventiva".
Si parla spesso di narcolessia. Di cosa si tratta?
"Un altro disturbo è la narcolessia, il capostipite delle ipersonnie. È una malattia rara, con solo 20 pazienti nel Centro, ma anche molto sottodiagnosticata, confusa spesso con l’epilessia o con malattie psichiatriche, la cui diagnosi anche in Italia è ritardata di circa 17 anni, una vera sofferenza per le persone che ne sono affette. Un’altra patologia che riguarda 200 persone nel Centro è la sindrome delle gambe senza riposo, un disturbo del movimento, un’inquietudine degli arti inferiori che costringe a muoverli. Questa sindrome passa con il movimento ma ricompare subito quando uno si ferma. Ha un ritmo circadiano, ovvero un ritmo fisiologico che copre le 24 ore: compare nelle ore serali e notturne, poi nelle prime ore della mattina va via. Segue il ritmo circadiano della dopamina, un neurotrasmettitore importante per il movimento. Infine abbiamo i disturbi del ritmo circadiano, con 38 pazienti seguiti nel nostro Centro nel 2024. Il ritmo circadiano è quel ritmo per cui veglia e sonno si susseguono parallelamente al susseguirsi del giorno e della notte. C’è chi andrebbe a letto molto presto, addirittura alle 19, per svegliarsi però alle 4 del mattino. All’opposto abbiamo il disturbo ritardato, per cui il soggetto riesce ad addormentarsi solo verso le 3 della notte, ma poi continuerebbe a dormire anche verso le 12/13. Questo tipo di disturbi è frequente nei giovani: il loro ipotalamo tende a ritardare il ritmo”.
Perché il sonno è così importante per il nostro organismo?
“La ricerca si sta molto aprendo su quello che di buono fa il sonno al nostro organismo. Come è ovvio dormire porta al recupero di tutte le energie. Per questo però potrebbe essere sufficiente anche solo riposarsi, ma dormire è importante per due funzioni che abbiamo scoperto.
In primis la memoria, perché durante il sonno, specialmente durante quello profondo, vengono eliminate informazioni. Le nostre cellule nervose, infatti, hanno delle protrusioni che si formano durante la veglia accumulando informazioni. Queste protrusioni vengono eliminate mentre dormiamo in modo da ottenere spazio per immagazzinare nozioni il giorno successivo. Si possono comprendere così i problemi di attenzione e concentrazione che l’insonne denuncia.
La seconda funzione riguarda lo spazio glinfatico, uno spazio intorno al cervello che di giorno è virtuale e che diventa reale durante il sonno.
Esso serve a drenare sostanze tossiche che si sono accumulate in veglia ad esempio la miloide, una proteina che quando si accumula porta alla demenza; ma anche il peptide, che si lega al recettore della calcitonina, il fautore del dolore dell’emicrania. Ecco perché c’è un’associazione tra sonno e cefalea.Queste importanti funzioni del sonno vengono perdute nell’insonne. Se facciamo delle analisi con dei sistemi del flusso ematico cerebrale su questo tipo di soggetti, si vede che le aree che dovrebbero perdere l’attività durante il sonno rimangono invece molto attive, mentre le aree anteriori, quelle della concentrazione e delle funzioni esecutive, durante la veglia rimangono ipoattive. Ecco che si delinea questo disturbo del cervello nelle 24 ore”.
Che cosa ci può dire dell’insonnia?
"L’insonnia è disturbo diffuso, poco considerato, ma fortemente pervasivo. Per la diagnosi di insonnia ci devono essere anche dei sintomi diurni. L’insonnia è infatti un disturbo delle 24 ore. I sintomi diurni sono spesso disturbi della concentrazione, dell’umore, sonnolenza, irritabilità, difficoltà nel portare avanti le proprie funzioni (scolastiche in un ragazzo, lavorative in un adulto). L’attività sociale viene sacrificata molto dagli insonni, non hanno energia e non hanno la capacità di portare avanti tutte queste attività”.
Come si identifica il disturbo dell’insonnia?
Per identificare questo disturbo sono tre i fattori che bisogna considerare. I fattori predisponenti, ovvero l’aspetto genetico. I geni del ritmo e del neurotrasmettitore della veglia, l’orexina, sono alteranti nell’insonne. L’aspetto genetico è quindi molto importante: spesso parenti dell’insonne soffrivano a loro volta di insonnia.
Ci sono poi i fattori scatenanti come ad esempio un grave lutto, una situazione di difficoltà, oppure l’aver avuto un’altra malattia, anche una malattia del sonno come le gambe senza riposo. Si viene a creare una situazione per cui nella notte si creano certi pensieri negativi e tutto viene visto in modo più pessimistico. Questa situazione non è soltanto un aspetto cognitivo e psicologico ma ha dei suoi corrispettivi biologici, come l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Inoltre negli insonni non si riduce la pressione come nelle altre persone e il sistema nervoso neurovegetativo non va a riposto.
Infine sono determinanti le cause perpetuanti, tutti i comportamenti sbagliati che fanno sì che parta il circolo vizioso dell’insonnia. I comportamenti viziosi possono essere ad esempio il fatto di rimanere a letto svegli, cosa che fa perdere l’associazione positiva tra la benefica sensazione dell’addormentamento, il letto e la camera da letto. Oppure ancora usare il letto per azioni che non siano le azioni normali come il dormire o l’attività sessuale, quali mangiare o guardare la televisione".
Quali sono i rimedi per curare l’insonnia?
“Per quanto riguarda i rimedi per l’insonnia le linee guida internazionali mettono al primo posto la terapia cognitivo-comportamentale. Non è una prestazione del servizio sanitario nazionale e non è facile trovare i vari esperti.
Nel nostro Centro utilizziamo un’educazione al sonno. Ai soggetti viene insegnata l’igiene del sonno, la rieducazione al sonno e anche alcuni aspetti cognitivi che aiutano a superare il problema. Poi ovviamente ci sono i farmaci. Recentemente sono uscite anche linee guida europee, dove abbiamo le classiche benzodiazepine da utilizzare con vita possibilmente breve e per non più di 4 settimane. L’insonnia però è un disturbo cronico ed è difficile in 4 settimane riuscire a coprire il problema. Poi ci sono altri farmaci come i nonbenzodiazepine, chiamati anche z-drugs, di cui abbiamo dati sull’efficacia e sicurezza fino a 6 mesi. La novità consigliate per il sonno sono i dora, gli antagonisti dei recettori dell’orexina, l’ormone della vigilanza che viene secreto inappropriatamente durante la notte negli insonni. E per concludere la melatonina, usata per i soggetti che hanno più di 55 anni. Questi sono gli aspetti farmacologici. È molto importante però seguire anche il paziente e per fare questo si può utilizzare l’actigrafo: uno strumento che ci dice quanto dorme il paziente. Attraverso questo strumento si può quindi seguire il miglioramento dopo l’assunzione del farmaco”.
L’insonnia può quindi provocare altre malattie?
“Dobbiamo prestare grande attenzione all’insonnia, perché condiziona e rende più probabili malattie come l’ipertensione, l’aumento del cortisolo notturno, malattie cardio-vascolari, e inoltre facilita il diabete. La società europea di diabetologia, infatti, nelle sue linee guida ha scritto che è molto importante seguire i ritmi e i tempi del sonno. Non basta la fase di recupero del sabato e della domenica se vogliamo controllare la glicemia. Il sonno controlla la glicemia solo se è regolare costantemente”.
Ci sono dei campanelli d’allarme o dei sintomi particolari che il paziente può riconoscere?
“Ovviamente l’insonnia è facile da diagnosticare per quanto riguarda i sintomi notturni ed è per questo che non usiamo particolari strumentazioni. Il paziente stesso ci riferisce la difficoltà ad addormentarsi. Noi abbiamo identificato questa difficoltà come patologica se avviene per più di 30 minuti nell’adulto. Spesso il paziente non racconta i sintomi notturni, nemmeno al medico di base, dà quasi per scontato che si possa dormire male. Per questo che cerchiamo di fare tanta cultura sul sonno, perché non bisogna mai trascurare questi sintomi.
Il compito del medico è quello di far emergere anche i sintomi diurni al quale il paziente non fa caso: fatica, eventuale sonnolenza, difficoltà di concentrazione, non rendere nelle proprie attività, aver tralasciato le attività sociali.
Ci sono poi altre cause che dobbiamo ricercare nell’insonnia, dovuta a comportamenti sbagliati e a mancata igiene del sonno. Tra queste c’è ad esempio l’assunzione di alcolici la sera. L’alcol può essere usato da qualche persona perché favorisce il sonno ma più tardi nella notte, quando si abbassano le concentrazioni, predispone al risveglio con difficoltà a riaddormentarsi. Un’altra causa è la nicotina, un potente risvegliante nemico del sonno. Anche i computer e i telefoni si annoverano tra queste: distruggono la melatonina (ormone del sonno) e lasciano un’aspettativa, anche incosciente, che qualcuno possa chiamare. Per questo non si è mai del tutto abbandonati al sonno”.
Quali sono i soggetti più predisposti a soffrire di insonnia?
“Ci sono categorie più esposte all’insonnia che dobbiamo più attenzionare: tra i due sessi sicuramente la donna, che ha sempre una prevalenza del doppio rispetto agli uomini, poi gli anziani, i lavoratori turnisti, e anche gli adolescenti. Il ritmo di questi ultimi si sposta più verso l’avanti perché tendono a usare telefono o computer di notte, ma devono comunque svegliarsi presto la mattina. In questo modo possono andare incontro a un’importante decurtazione di sonno. Per questo è importante eseguire un’attività di educazione a livello delle scuole”.
C’è quindi una correlazione tra disturbi del sonno e stile di vita, in particolare uno stile di vita stressato?
“Sicuramente sì. Gli orari irregolari, il computer, considerare il sonno l’ultima priorità se non addirittura una perdita di tempo, bere caffè e anche alcol fino alla sera, sono tra i sintomi di una vita stressata, che contribuiscono ai disturbi del sonno. Lo stress di per sé, indipendentemente da tutti questi mezzi, attiva il cortisolo, che è nemico del sonno. Per questo la prima cosa che facciamo con le persone è rivedere insieme il loro stile di vita: a che ora vanno a dormire, a che ora si alzano, cosa fanno nel dopocena. Da quando si esce da lavoro a quando si va a letto ci dovrebbe essere un cuscinetto di decompressione del nostro corpo e cervello”.
Il vecchio detto di contare le pecore per addormentarsi può essere un metodo valido per riuscire a prendere sonno? Ci sono delle accortezze che possiamo seguire?
“Il vecchio detto di contare le pecore fa parte di una serie di rituali. Si comincia con la camomilla, con il mettersi il pigiama, poi si va a letto e ci si mette a contare le pecore. Contare le pecore è un metodo per distrarsi dai disturbi ossessivi e dall’ansia di non riuscire a dormire.
Tra i consigli di decompressione che diamo, c’è quello di scrivere su una rubrica, quando si esce dall’ufficio, tutto ciò che potrebbe disturbare la notte. È come se si svuotasse il proprio cervello. Bisogna scrivere nero su bianco tutte le attività che riguardano il giorno dopo e che potrebbero tornare in mente mentre si dorme, così probabilmente la notte non saranno più nella mente a tenere svegli. Nel dopocena è inoltre utile distrarsi, parlare con la famiglia, ed evitare tutto ciò che è risvegliante, come computer, telefoni, e che impedisce il fisiologico addormentamento. Il primo passo per l’addormentamento è quando piano piano il sistema di vigilanza inizia a tacere. Se noi gli diamo stimoli esterni allora esso rimane attivo e quindi avremo difficoltà ad addormentarci. I pazienti devono capire che se si ha uno stile di vita scorretto, molto difficilmente si riuscirà a risolvere i problemi legati al sonno.
Come è scandito il programma per i pazienti nel vostro Centro?
“Quando un paziente presenta miglioramenti il farmaco piano piano viene ridotto e poi eliminato, e il paziente rimane con le buone abitudini create e acquisite. I pazienti periodicamente vengono ricontrollati, dopo 6 mesi, dopo 1 anno. Quando perdiamo i contatti con pazienti che avevano acquisito buone abitudini ed erano stati rieducati nel Centro, allora ci immaginiamo che abbiano fatto tesoro di tutto e siano sicuramente migliorati. Bisogna comunque ricordarci che però l’insonnia è come l’emicrania: ci possono essere momenti della vita, anche fisiologici, come la menopausa e la senescenza, oppure momenti di stress, in cui il disturbo può riaffacciarsi. Si può quindi riprendere il farmaco per un certo periodo limitato per aiutare a ritrovare l’equilibrio del sonno”.
Per quanto riguarda le apnee notturne come funziona il monitoraggio?
“Ci sono sistemi molto efficaci per monitorare le apnee a domicilio del paziente. Viene spiegato al paziente come mettere determinati sensori: il flusso oronasale, la saturazione dell’ossigeno, le fasce toraciche-addominali per valutare lo sforzo, il tutto collegato ad un computer. Quando il paziente va a dormire preme il pulsante e si registrano così le apnee, non l’elettroencefalogramma. Viene accompagnato anche da un diario in cui il paziente dice quando ha dormito e quando no. Questo sistema si rivela efficace nel valutare le apnee, quante sono e la gravità. Per le apnee nel sonno la diagnosi può essere fatta solo con la polisonnografia ambulatoriale. Ci fa vedere quanto grave è il paziente. Da 5 a 15 abbiamo apnee di grado lieve, da 15 a 30 moderate, sopra 30 invece abbiamo una sindrome grave. In base alla tipologia del paziente e in base alla gravità delle apnee decidiamo poi quali sono i meccanismi da adottare”.