
L’esperienza della psicologa e psicoterapeuta sarzanese Daniela Lorenzini "Ho avuto tre giovani adulti che rispecchiano il profilo del celibe involontario".
Incel. Termine che nasce dalla contrazione dell’espressione inglese “involuntary celibes”, in italiano “celibi involontari”. Si riferisce a uomini che, pur desiderandolo, non riescono ad avere relazioni sessuali con le donne e maturano nei loro confronti sentimenti di odio e disprezzo. Convinti che la colpa della loro solitudine e isolamento sia delle donne che li respingono, si aggregano in comunità digitali misogine in cui condividere e alimentare sentimenti di frustrazione, rabbia, rivalsa. Un fenomeno sommerso. Relativamente recente ma preoccupante, portato prepotentemente all’attenzione delle cronache dalla serie televisiva britannica “Adolescence”. Come uno schiaffo in pieno viso a psicologi, psichiatri, genitori, politici.
"È vero. La serie ha scosso anche la comunità di psicologi e psichiatri. Ho sentito altri colleghi - ammette Daniela Lorenzini, psicologa e psicoterapeuta a Sarzana - e in effetti tutti noi, dopo aver visto “Adolescence”, ci siamo domandati: ma con che cosa abbiamo a che fare? La risposta è che siamo di fronte a un fenomeno al quale non solo non eravamo preparati ma di cui non immaginavamo fosse di questa portata. Ma come avremmo potuto essere preparati? Questi uomini non vengono da noi a farsi aiutare. Vivono in un mondo a parte. Noi non possiamo fare nulla fino a quando non riconosciamo i segnali. E questo può accadere solo con persone che seguono una terapia per altre ragioni".
Le è capitato?
"Sì. Ho avuto tre giovani adulti con caratteristiche che rispecchiano il profilo del celibe involontario. La prima risale a qualche anno fa. Allora non era ancora definibile come incel. Adesso, retrospettivamente, posso dire che lo era. Si presentò consapevole di avere problemi di relazione con gli altri e intenzionato ad affrontarli. Poi, nel proseguire dei colloqui, iniziò a manifestare tutte quelle espressioni tipiche del linguaggio incel che si trovano nelle chat delle loro comunità. Diceva che le ragazze lo respingevano, non riusciva a relazionarsi con loro e non sapeva come fare. Lamentava che le ragazze oggi sono intraprendenti ed esigenti e lui non era in grado di assecondarle. “Non ce la faccio” ripeteva con frequenza. Tutto questo, a un certo punto, divenne qualcosa di talmente insormontabile che iniziò a parlare di quanto sarebbe stato più facile per lui se fosse vissuto in un’altra epoca. Quella dei nonni, quando gli uomini sceglievano le donne e queste non potevano dire no. L’uomo sceglieva la moglie che gli piaceva, senza doverla corteggiare o assecondare nelle sue richieste, e con la propria moglie poteva fare tutto quello che voleva, soprattutto avere rapporti sessuali. Esperienza che, sebbene fosse adulto, non aveva mai avuto".
Frequentava le comunità digitali di incel?
"All’inizio no. Successivamente credo proprio di sì. Non lo ha mai ammesso in modo esplicito ma mi faceva capire che navigando in internet aveva trovato delle persone che lo capivano perché erano come lui".
E gli altri due casi?
"In questi l’individuazione dei segnali richiese più tempo, perché il loro percorso era destinato a risolvere problemi di tutt’altro genere. Ma quando emersero le caratteristiche erano chiare quanto quelle del paziente appena descritte".
Tre casi. Sono episodi isolati o la punta di un iceberg?
"Nella mia esperienza sono episodi isolati ma di un fenomeno che, a giudicare dalla quantità di canali attivi sul web, appare diffuso e in espansione. Difficile da riconoscere fuori dal mondo digitale, dunque difficile da quantificare. Quel che è certo è che occorre fare attenzione, perché molto spesso riguarda adolescenti che, ancora inesperti e insicuri, vengono facilmente attratti da questi gruppi tossici".
Quanto può essere dannoso rifugiarsi in una comunità incel?
"Parecchio, perché non stimola a lavorare su se stessi per affrontare il problema. Al contrario, si sviluppa un’esaltazione reciproca, un dirsi e ripetersi che le donne sono delle brutte persone, la causa delle loro sofferenze. Le definiscono “np”, acronimo di “non persone”, non credo ci sia altro da aggiungere".