Sarzana (La Spezia), 2 dicembre 2024 – Lo chef Giacomo Devoto è fiero e molto felice, la Locanda de Banchieri, ristorante gourmet di Fosdinovo aperto a giugno del 2021, in pochi anni ha già acquisito la sua prima stella Michelin. Un riconoscimento importante per lo chef, conosciuto anche per altre due rinomate attività in Val di Magra, le Officine del Cibo a Battifollo e Fuìn in centro a Sarzana, tre luoghi che esprimono tre linguaggi differenti ma, come sottolinea l’imprenditore, con la ricerca della medesima qualità.
Chef Devoto si aspettava questo riconoscimento?
“Questo è un riconoscimento che non si aspetta mai. Quando sono stato invitato alla premiazione, fino al momento in cui mi hanno chiamato, non sapevo assolutamente cosa mi sarebbe stato assegnato”.
Quali sono, secondo lei, nel suo lavoro, gli elementi che fanno la differenza?
“Una cucina identitaria, un’accoglienza “taylor made” nei confronti dell’ospite e il lavoro d’equipe. Ci dobbiamo ricordare che il riconoscimento è dato al ristorante e, senza il team non si ottiene, anche se è allo chef che per tradizione, viene data la casacca”
Cosa significa fare una cucina identitaria?
“Significa una cucina personale, originale. Penso che il futuro di una cucina gastronomica come la mia sia fare una cucina identitaria ma leggibile, che possa essere compresa da tutti, che non vuol dire che piaccia a tutti”.
Una cucina identitaria è anche una cucina legata al territorio?
“Preferisco non usare il termine territorio, perché è una parola, secondo me, abusata. Il segreto è fare una cucina logica, comprensibile e consapevole del luogo dove ci troviamo”.
È più difficile conquistare o mantenere una stella?
“È difficile allo stesso modo. L’equazione è sempre data dalla costanza. La stella la ottieni con la costanza del tuo lavoro e la mantieni con la costanza del tuo lavoro, cercando sempre di migliorare quello che si sta facendo”.
Quando è nata la sua passione per la cucina?
“È nata in casa, tra le mura domestiche. È iniziata con mia nonna e mia madre che mi hanno trasmesso la passione per il buon cibo, per quello che riguarda la ricerca dei prodotti, delle ricette antiche. Io non ho fatto l’Alberghiero, ho fatto Ragioneria ma non ho finito la scuola per andare a lavorare da Paracucchi. Era il 1997 – 1998, ero un garzone di cucina ma avevo già le idee molto chiare su quello che avrei voluto fare”.
Prossimi progetti?
“Il sogno è quello di sviluppare ancora di più la locanda che ha anche un’azienda agricola. Il nostro è un progetto gastronomico sostenibile. Abbiamo un certificato che si chiama Clorofil che determina la nostra impronta di carbonio, realizzato con l’associazione Teritoria. Abbiamo introdotto dai 5 ai 10 kW di pannelli fotovoltaici e pannelli solari per poter ridurre il consumo energetico. Tutte le erbe che vengono messe sui piatti sono raccolte nella nostra azienda, riducendo l’utilizzo di plastiche di contenitori. Usiamo un principio di rotazione, in modo da far ri-azotare il terreno in maniera naturale. Abbiamo 600 piante d’ulivo e non utilizziamo le serre, facciamo solo un’agricoltura stagionale”.