GIOVANNI PELLICCI
Cronaca

Alessandro Cellai. Enologo per vocazione: "La crisi del vino passerà"

Ha piazzato due vini tra i primi cento di Wine Spectator nello stesso anno "Orgoglio e soddisfazione doppia perché sono prodotti della mia terra".

Ha piazzato due vini tra i primi cento di Wine Spectator nello stesso anno "Orgoglio e soddisfazione doppia perché sono prodotti della mia terra".

Ha piazzato due vini tra i primi cento di Wine Spectator nello stesso anno "Orgoglio e soddisfazione doppia perché sono prodotti della mia terra".

Alessandro Cellai, 55 anni, di Castellina in Chianti, è il primo enologo ad aver piazzato, nello stesso anno, due suoi vini nella Top 100 di Wine Spectator, il magazine enologico più famoso al mondo. Un risultato fortemente identitario: si tratta di due Chianti Classico, uno di Vallepicciola a Castelnuovo Berardenga, azienda dove è arrivato a fine 2018, e l’altro di Castellare, a Castellina in Chianti, realtà dove ha trascorso gran parte della sua carriera. Sopravvissuto al Covid grazie ai monoclonali nel 2021, Cellai oggi raccoglie i semi di un grande impegno professionale e di una sfida che, in pochi, decidono di accettare nella vita. Quella di rimettersi continuamente in gioco.

Che effetto fa avere due vini nella Top 100 del mondo? "Sono felicissimo perché si parla di due vini, I Sodi di San Niccolò di Castellare e il Chianti Classico di Vallepicciola, del territorio dove sono nato e che ho sempre cercato di valorizzare nella mia carriera. Averli entrambi al top è motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Per Vallepicciola non me lo aspettavo in così poco tempo. La prima annata completamente gestita da me risale al 2019: dopo tre vendemmie (l’annata premiata è la 2021, ndr) è davvero un grande risultato, possibile grazie alla dedizione che ho trovato nei miei collaboratori ai quali, dal mio arrivo, ho prospettato un cambio completo di paradigma, resettando con il passato e sposando il mio stile".

Esiste il vino perfetto? "Il vino è un generatore di emozioni: ognuno ha la sua sensibilità, ma quando - oltre all’aspetto tecnico - si riesce a toccare le emozioni di un assaggio che un vino perfettamente in armonia sa dare, allora sì, si può parlare di vino perfetto".

Come nasce Cellai enologo? "Avevo 4 anni e mio zio don Giuseppe, parroco de La Piazza a Castellina in Chianti, mi fece pestare l’uva in vendemmia. Scattò qualcosa. Poi gli studi di Chimica a Pisa (al tempo, siamo intorno al 1990, la facoltà di enologia ancora non esisteva, ndr) dove ci fu l’incontro casuale con Giacomo Tachis, l’enologo del Sassicaia. Tenne un seminario sui tannini in facoltà, mi avvicinai per alcune domande, mi invitò a casa sua ad assaggiare i suoi vini. Ero incredulo. Iniziò una sintonia intellettuale attorno al vino che è durata 20 anni e da cui ho fatto tesoro in tantissimi aspetti, in primis per il suo desiderio di rivolgersi ai giovani per lasciare un testimone. Anche io oggi cerco di farlo".

Tachis cosa le ha lasciato in particolare? "La perseveranza, il metodo e il rigore assoluto sul lavoro: se nella sua cantina c’erano mille barriques, le assaggiava una ad una, non tralasciando il minimo dettaglio".

C’è ancora un sogno nel cassetto? "Oggi lavoro in vari territori ed ho una piccola azienda di famiglia, dove produco il mio Pinot Nero, vitigno a cui sono particolarmente legato. Ecco, un giorno vorrei produrne uno in Australia".

Oggi di vino nel mondo se ne beve sempre meno. È una crisi passeggera? "Lavoro da 35 anni in questo mondo e di crisi come queste ne ho già viste molte. Passerà, perché il vino è un elemento cardine della cultura dell’uomo. Probabilmente si berrà meno ma sempre meglio, quindi per noi lo stimolo è fare sempre grande qualità e a prezzi ragionevoli".

Si parla di estirpare vigneti per contenere la produzione. Cosa ne pensa? "Credo che prima dovremmo regolamentare la produzione attraverso i disciplinari, abbassando le rese per ettaro e puntando ad una produzione qualitativa ancora più alta. L’estirpazione è l’ultima ratio".

È tempo di vini dealcolati. Favorevole o contrario? "Non possiamo non scrutare il cambiamento in atto ma lo ritengo un colpo basso alla nostra cultura, specie se resterà la parola vino accanto a questi prodotti che vino non sono. Sono convinto che nel giro di tre anni non ne sentiremo più parlare".