
Nato a Monticchiello nel comune di Pienza, il suo ricordo di quei giorni è ancora lucido "Furono la signora Angheben e il parroco Don Marino Torriti ad evitare l’eccidio".
"Raus!" e "Ora andate a casa, siete liberi": queste due frasi, pronunciate, rispettivamente, da un ufficiale tedesco e dalla signora Irma Richter Angheben, a distanza di 81 anni ancora risuonano nitide nella testa di Arturo Vignai. Arturo, nato a Monticchiello, nel Comune di Pienza, le sentì quando aveva appena 10 anni e quando, insieme ad altri bambini, anziani e donne, suoi compaesani, sembrava ormai condannato ad essere trucidato. "Il giorno prima (6 aprile 1944, n.d.r.) si era combattuta la battaglia di Monticchiello, i partigiani avevano sconfitto i fascisti costretti a rientrare in fuga, a Siena" racconta Vignai, con incredibilità lucidità. "Ricevuto il racconto, il Prefetto Chiurco si rivolse ai tedeschi, chiedendo che Monticchiello fosse bombardata, rasa al suolo; ma, forse per la mancanza di aerei disponibili, si mossero truppe di terra, la mattina dopo. Cominciò così un rastrellamento che non risparmiò nessuno, con i calci dei fucili i soldati buttavano giù le porte e trascinavano fuori le persone: ci radunarono nel piazzale antistante l’ingresso principale del paese, gli anziani, le donne, i bambini, e cominciarono a caricare le mitragliatrici, disposte su tre postazioni, davanti a noi". "Le donne piangevano - prosegue Vignai -, noi ragazzini capivamo poco, la guerra ci sembrava un grande gioco; poi al comandante del drappello, un ufficiale delle SS, si avvicinarono la signora Angheben, tedesca, moglie di un proprietario terriero, e il Parroco Don Marino Torriti, e cominciarono un dialogo, a noi incomprensibile, che durò a lungo, fino a che, appunto, non furono pronunciate quelle parole che significarono la nostra salvezza. La signora Angheben non ci ha mai voluto dire cosa disse al connazionale, convincendolo ad evitare l’eccidio". ‘Cronaca di una strage evitata’, si potrebbe dire, parafrasando il celebre titolo di Garcia Marquez. "La sera del 6 – ricorda ancora Vignai, e qui le parole sembrano cristallizzarsi nell’aria – fu recuperato il cadavere di Mario Mencattelli, ucciso in battaglia dai fascisti mentre cercava di recuperare munizioni in un podere; era di Montepulciano, non aveva venti anni, lo deposero in una chiesina appena fuori le mura, andai a vedere, c’erano delle ragazze che lo lavavano, sporco di terra, mi colpirono i baffetti neri e un grande cesto di capelli crespi, mi sono rimasti impressi per sempre". Vivido anche il ricordo della Liberazione: "Appena si sparse la voce, noi ragazzi andammo in Chiesa, a suonare le campane a distesa, aggrappandoci alle corde, mentre la banda si radunò e fece il giro del paese, suonando. Ripetemmo la stessa procedura l’8 maggio, giorno della resa definitiva dei tedeschi, volevamo essere sicuri che la guerra fosse veramente finita".