di Laura ValdesiSIENA"Se provi a dirlo, vedi cosa ti accade". La frase minacciosa che l’uomo avrebbe ripetuto alla nipote per farla tacere. Non doveva trapelare che lui la stava palpeggiando. Che le aveva messo le mani addosso, i toccamenti. Che addirittura sarebbero stati ripresi con il cellulare facendo un film a luci rosse. Approfittando, magari, del lieve deficit cognitivo dell’adolescente. Una brutta storia, da cui era nato un processo per violenza sessuale: lo zio della ragazzina, che vive a Siena, era stato condannato per i fatti compresi nell’ambito del ’Codice rosso’, avvenuti intorno al 4 luglio 2017. Cinque anni la pena decisa dal collegio il 23 marzo 2021. Il pagamento delle spese processuali, l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente la tutela, la curatela e l’amministrazione di sostegno, l’esclusione dalla successione della persona offesa. E ancora: vietato ogni incarico nelle scuole e nelle strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Una mazzata per l’uomo che ha sempre ribadito di non aver mai fatto niente di male alla bambina.
Tre anni dopo il colpo di scena: la Corte di appello di Firenze, a cui l’imputato era ricorso attraverso l’avvocato Fausto Rugini, ha ribaltato il verdetto. "Il fatto non sussiste", questa la decisione arrivata qualche giorno fa. Assolto dunque con formula piena dalla Corte presieduta da Francesco Bagnai che depositerà le motivazioni entro il 9 febbraio. Ha ritenuto che il senese, una persona di mezza età già conosciuta alle forze dell’ordine per altre vicende, non ha costretto la nipote a subire atti sessuali, toccandole le parti intime mentre filmava tutto con il cellulare. Minacciando subito dopo la ragazzina di non svelare il loro segreto a nessuno. Sarebbero stati guai, altrimenti.
E’ caduta l’accusa di violenza sessuale che la procura aveva contestato al termine dell’inchiesta allo zio con l’aggravante di aver commesso l’abuso nei confronti di una minorenne di 14 anni. Che aveva ’tenuto’ durante il dibattimento concluso, come detto, con la condanna a 5 anni e varie pene accessorie. Ma in appello è arrivata l’assoluzione.