
Bulli non si nasce, si diventa
Atti di vandalismo, aggressioni, rapine e spaccio… I responsabili sono gruppi di minori, le cosiddette baby gang. Negli ultimi anni questo fenomeno ha attirato l’attenzione di esperti e cittadini comuni, diventando un tema centrale nel dibattito pubblico.
Ci hanno aiutato a capire meglio l’argomento l’ispettore Marri, l’agente Orlando della Squadra Mobile della Questura di Siena e la dottoressa Gherardi, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva.
Ci hanno spiegato che le azioni delle baby gang sono strettamente legate a quelle del bullismo, tanto che in psicologia si parla di bullismo di strada. Riguarda ragazzi che vanno dai 13 ai 17 anni che mettono in atto azioni ripetute e continuative caratterizzate da violenza o tese a minacciare qualcuno.
Secondo la dottoressa Gherardi questa è l’età in cui si esce dal contesto familiare e si cerca l’approvazione dei coetanei. L’ispettore Marri afferma che negli ultimi anni a Siena si sono verificati due casi di baby gang: una maschile e una femminile. I contesti socio-culturali sono diversi: possono essere svantaggiati, caratterizzati da violenze, abbandono scolastico, ma anche agiati. I danni causati alle vittime sono soprattutto psicologici, perché cambiano le loro abitudini e hanno paura: smettono di andare a scuola, prendere l’autobus, andare in città. Non c’è una vittima-tipo, può esserlo chiunque, così come non c’è un luogo specifico dove svolgono queste azioni. Essendo minorenni, i colpevoli vengono aiutati portandoli in comunità per reinserirli nella società.
La dottoressa Gherardi ha aggiunto che dopo la pandemia è stato registrato un aumento di questi reati poiché il bullismo di strada è una forma di espressione per i giovani che cercano di manifestare la loro rabbia, il loro disagio o la sensazione di essere invisibili. Per combattere questo malessere sarebbe necessaria "un’alfabetizzazione emotiva" cioè imparare a conoscersi e a mettersi nei panni degli altri. Il fenomeno delle baby gang era presente anche in passato, di nuovo c’è l’elemento dei social per il bisogno di essere “visti”.
Ma la domanda a nostro avviso più importante è come si può prevenire questo fenomeno. "Con azioni di informazione a scuola o parlando in famiglia" risponde l’ispettore Marri, "creando momenti di aggregazione, frequentando centri giovanili, perché è fondamentale stare insieme in maniera positiva e condividere esperienze", ha concluso la dottoressa Gherardi.