Solo il 5% della produzione olivicola nazionale può dirsi veramente italiana, perché proviene da un’area di produzione DOP IGP. Oggi questa è l’unica certezza nel mondo dell’olio extravergine d’oliva, sempre più oppresso da contraffazioni e imitazioni, oltre che schiacciato da quella che si può definire una ’ibericizzazione’. del prodotto. E’ il messaggio fragoroso che è partito dalla tavola rotonda organizzata da Fondazione Qualivita in collaborazione con Origin Italia, l’Associazione italiana dei Consorzi di tutela, nella prima giornata degli Stati generali dell’olio, aperti ieri al Santa Maria della Scala.
Dopo le presentazioni e le dichiarazioni sull’importanza di aver fatto assurgere Siena a capitale dell’oro verde per qualche giorno, sono i numeri a fare la differenza e a definire il quadro di un’eccellenza italiana. Che però è sotto attacco continuo e non ha una massa critica di produzione e fatturati tali da resistere alle ripetute ondate.
Prendete i dati che l’Ismea, tramite il presidente Livio Proietti e la direttrice generale Maria Chiara Zaganelli hanno illustrato ieri alla platea della sala Calvino: l’Italia consuma 456mila tonnellate all’anno di olio d’oliva e ne produce 290mila. Ne importa 535mila e ne esporta 359mila. Se fosse solo un hub di passaggio poco male, 170mila tonnellate importate coprono la differenza tra consumo e produzione. La realtà è diversa però: gli italiani non consumano tutto l’olio prodotto in Italia. Per questo Qualivita e i consorzi di tutela hanno suonato l’allarme iberico, visto che la Spagna da sola produce il 45% dell’olio d’oliva mondiale e l’Italia il 15%, e l’export è spagnolo per il 60% contro il 20% dell’Italia.
Forte il richiamo a fare di più e prima possibile per salvaguardare una peculiarità italiana, come quella dell’olio extravergine di qualità, che rischia di soccombere al modello super intensivo e monovarietale della Spagna che con 1 milione e 78 mila tonnellate di olio prodotto nel 2023, resta la maggiore produttrice.
"DOP IGP non sono solo un marchio, come molti operatori credono o fanno credere. Dietro a questo c’è molto di più, a partire dalla scelta, spesso il recupero, di cultivar locali, coltivate con un modello di impianto studiato per la pianta. DOP IGP è anche sinonimo di rispetto e tutela per il paesaggio e rappresenta una remunerazione equa e giusta per gli olivicoltori – ha sottolineato Mauro Rosati, direttore di Fondazione Qualivita -. Fare il super intensivo come in Spagna crea molto più valore all’imprenditore industriale, ma come Sistema Italia così perdiamo tutto il resto, che vale molto di più del fatturato di una singola grande azienda: questo è ciò che rappresenta il modello dei Consorzi di tutela e delle imprese associate, che finora è stato l’unico freno all’ibericizzazione del nostro sistema produttivo olivicolo".
Un altro intervento da annotare nella prima giornata, quello di Maurizio Bai, vice direttore generale vicario di Banca Mps. Che ha candidato Rocca Salimbeni a diventare sempre di più la banca a sostegno delle filiere agroalimentari, dell’olio come lo è del vino. "Dai primi 15 centri agrifood, al pegno rotativo, dalla formazione specializzata ai finanziamenti e alle iniziative per accompagnare le imprese agricole verso percorsi di crescita - ha detto Bai - il Monte dimostra di essere vicino agli agricoltori da oltre 5 secoli. La Banca Verde, il segmento dei consorzi di tutela, la sfida della Dop economy per sostenere la sovranità alimentare italiana, sono l’essenza del nostro essere Banca dei mestieri".