Siena, 16 dicembre 2020 - Non ce la fa a trattenere le lacrime, Angelo Del Ticco. L’avvocato Francesca Traica gli tocca un braccio, sorride all’uomo che rischiava l’ergastolo per aver ucciso a botte la madre. Invece la Corte d’Assise presieduta da Luciano Costantini, dopo oltre tre ore di camera di consiglio, ha condannato ieri l’uomo a 23 anni di carcere. «Non è stata riconosciuta l’aggravante dei futili motivi, né quella della crudeltà», commentano a caldo i suoi difensori, Traica e Daniele Federici di Perugia. Ma soltanto quella dell’ubriachezza abituale e ovviamente del legame di parentela. Del Ticco è stato inoltre interdetto dai pubblici uffici, dissequestrata la villetta teatro dell’omicidio nel settembre scorso, poco fuori Cetona. Ma Del Ticco non potrà ereditarla perché dichiarato indegno di succedere alla madre. Dovrà inoltre risarcire la parte civile, la figlia minorenne, rappresentata dall’avvocato Mara Moretti: si deciderà però in sede civile. «Leggeremo le motivazioni che saranno depositate fra 45 giorni» , dice Federici lasciando poco dopo le 15 palazzo di giustizia. «Faremo appello», aggiunge la collega Traica. Cala così il sipario su una vicenda che aveva scosso Cetona, dove tutti si conoscono. Ma anche perché l’anziana era stata trovata in un bagno di sangue, gonfia di botte. In avvio di udienza ieri era stata rigettata la richiesta dei difensori di sottoporre Del Ticco ad una perizia per capire se quando ha ucciso la madre era capace di intendere e volere. Accompagnato dagli agenti carcerari, l’uomo ha assistito alle richieste del pm Siro De Flammineis che ha ricostruito l’omicidio a mani nude della madre Marisa Tosoni, 84 anni, colpevole di avergli detto di smetterla di chattare con una donna e di portargli piuttosto un bicchiere d’acqua. Calci, pugni, schiaffi la risposta del figlio: molteplici le fratture riscontrate sul corpo dell’anziana dal medico legale. «La ricostruzione dei fatti giustifica tutte le aggravanti – rivendica De Flammineis –, è bastato niente per scatenare la sua rabbia».
L’avvocato di parte civile Mara Moretti evidenzia, tra l’altro, il buon rapporto che la figlia di Del Ticco aveva con nonna Marisa: «Era lei che inviava l’assegno di mantenimento, gli incontri con il padre avvenivano in casa dell’anziana. Ha perso soprattutto una figura di riferimento». Mancano pochi minuti alle 11 quando la difesa mette le mani avanti: «Siamo qui per dare a questo fatto la giusta collocazione e pena». L’avvocato Federici sottolinea a più riprese che Del Ticco nel momento dell’omicidio era confuso. «Dà persino uno schiaffo ad un’infermiera del 118 perché non si capacita che la madre è morta anche se era stato lui stesso a chiamare il 118 quando l’aveva vista senza vita: se questa è lucidità!» Delinea il rapporto «problematico e conflittuale con l’anziana», argomentando che sulla donna «ha scaricato la rabbia accumulata per il proprio fallimento». Non serve l’ergastolo per questa vicenda «maledetta», la definisce. Del Ticco vive della speranza, aggiunge, di poter ‘riconquistare’ sua figlia. Invoca il minimo della pena. Poi inizia l’attesa. L’imputato chiede di attendere la sentenza in tribunale. Il passare delle ore induce a uno spiraglio di speranza. Non fa una grinza quando entra in aula davanti alla Corte d’Assise già in piedi per la lettura della sentenza. Poi le lacrime di chi sa che, anche se fra molti anni, potrà tornare a vivere. Forse (veramente) per la prima volta, portandosi però dentro, per sempre, il peso di una morte terribile.