ROBERTO BARZANTI
Cronaca

Collezione Spannocchi, si alza il sipario

Oggi al Santa Maria inaugurazione dell’allestimento permanente. Uno dei pezzi pregiati è ’La Natività’ di Lorenzo Lotto

di Roberto Barzanti

Tra i quadri della collezione ribattezzata Piccolomini Spannocchi, collocata in permanenza al quarto livello del Santa Maria della Scala, ce n’è uno che suscita un’attenzione speciale. È la ’Natività’ di Lorenzo Lotto: un piccolo olio su tavola, scampato a perigliose avventure. Proviene dalla raccolta trevigiana dell’intraprendente Livino Piccolomini, che di tanto in tanto spediva da lassù qualche "cosetta" ai parenti senesi per arricchire la collezione che Caterina Piccolomini di Modanella ebbe in dote quando si unì nel 1774 in matrimonio a Giuseppe Spannocchi di San Domenico, contribuendo di riflesso a formare la bifronte collezione ricomposta.

Già dai primi inventari si evince che l’opera era malconcia. Cesare Brandi la lasciò nei depositi della Pinacoteca da lui ordinata e aperta al pubblico il 28 ottobre 1932, forse per la cattive condizioni in cui si trovava. Enzo Carli la piazzò, verso la metà degli anni Cinquanta, nella sala della Scuola veneta. Dopo l’ultimo restauro (2018) si è in grado di fissare la data di esecuzione al 1526, a quanto par di leggere nell’iscrizione accanto alla firma ’Lotus’: sottili questioni filologiche per specialisti.

Da dove deriva l’attrazione di questo capolavoro? L’iconografia attesta una religiosità, che si concretizzò in rappresentazioni sovente svincolate dalle obbliganti norme dominanti. La vita del sommo artista fu tormentatissima: un peregrinare da un luogo all’altro alla ricerca di una pace che egli conquisterà solo negli ultimi anni facendosi oblato a Loreto. In precedenza non era stato indifferente ai fermenti che animavano la cristianità e non insensibile alle tematiche della Riforma protestante. Gli è stata attribuita una posizione almeno a tratti intermedia, spinta a conciliare tesi in contrasto. Fino alla piena accettazione conclusiva – morirà nel 1556 – della dottrina proclamata dalla Chiesa di Roma. Il presepe da lui immaginato mette in scena la nascita di Gesù con un’inventiva densa di dettagli da scoprire con calma. Le fonti scritturali cui si rifà – è interpretazione acquisita – sono il Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo e la ’Legenda aurea’ del domenicano Jacopo da Varagine. In una buia grotta si sprigiona una luce insopportabile: "Ma poco a poco quella luce si attenuò, finché non apparve il bambino e andò a prendere la poppa da sua madre Maria".

Lotto non si limita a fare del corpo del neonato l’unica sorgete di luce. Dà il centrale primo piano a una delle due levatrici che Giuseppe si era affannato a reperire. Mentre una aveva annunciato, meravigliata, di aver verificato un parto verginale, l’altra, Salomè, era restata incredula e una mano le era stata arsa dal fuoco (o secondo altre versioni seccata, bloccata). Pentitasi della sua incredulità, dopo aver palpato la giovane, ecco il miracolo: "Essa subito si accostò al bambino e adorandolo toccò le frange dei pannolini in cui il bimbo era involto e immediatamente la sua mano fu risanata". È questo il momento che il pittore ferma: ancora il cordone ombelicale non è stato reciso. Intorno s’intravedono gli strumenti di falegname del babbo, la brocca e il bacile usati per il parto: la grotta è stranamente arredata come un interno domestico per immergere un evento straordinario in un’atmosfera quotidiana.

Daniel Arasse ha avanzato un’ipotesi di estrema suggestione. Il cordone ombelicale sarebbe in bella evidenza perché proprio in quel tempo era stato perpetrato da un soldato tedesco in San Giovanni in Laterano il furto della venerata reliquia, durante il drammatico sacco di Roma del 1527. Così Lotto, giunto da poco a Venezia, a San Zanipolo, non solo esplicita la sua fede, ma lo fa usando una fonte eccezionale e controbattendo le irruenti polemiche luterane avverse al culto delle reliquie. Massimo Firpo in un’indagine sul mondo di Lorenzo Lotto tra ’Artisti, gioiellieri e eretici’ (2001) sottolinea che il geniale veneziano intendeva dimostrare al ritorno in patria di essere ortodosso. Ma si rifece ad un testo non canonico: ennesima bizzarria di uno spirito geniale.