Laura Valdesi
Cronaca

“Giudice, questo era mio figlio. E’ morto. Sono rimasta sola”

Due medici accusati di omicidio colposo: la drammatica testimonianza in aula della madre del 49enne senese. Hanno deposto anche gli altri familiari

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Il 49enne senese era arrivato al pronto soccorso in ambulanza (foto d’archivio/Paolo Lazzeroni)

Siena, 14 dicembre 2024 – La commozione della madre. “Giudice guardi qua, questo era mio figlio. Sono rimasta sola”, dice la donna. Le lacrime della figlia del 49enne morto in una struttura di riabilitazione nell’Aretino, nel febbraio 2020, dopo lunghe sofferenze. Che riferisce tra l’altro, come altri familiari nella loro testimonianza, che il luminare della neurochirugia che operò suo padre disse che era stato portato alla sua attenzione troppo tardi. Era gravissimo.

E ancora. La frase, toccante, scritta su un foglio alla compagna da cui aveva avuto un figlio pochi mesi prima: “Voglio dargli un fratello”. E le parole del bambino, ora di poco più di 5 anni, alla madre: “La prossima volta che vedi una stella cadente gli puoi dire di far tornare babbo”. Momenti di grande tensione emotiva ieri durante il processo a due medici del policlinico accusati di omicidio colposo e difesi dagli avvocati Vincenzo Bonomei e Riccardo Lottini. Sette le parti civili, tutti familiari dell’autista di Tiemme, che era anche un bravo cuoco. Assistiti dagli avvocati Alfredo Fiorindi, Patrizia Mucciarelli e Alessandro Bonasera.

In avvio è stato ascoltato il carabiniere della polizia giudiziaria che svolse gli accertamenti. Quindi la madre dell’uomo, contradaiolo del Nicchio, ricostruendo la fase del primo arrivo alle Scotte perché si sentiva male. Il cuore della vicenda è la dimissione successiva del paziente che sarebbe stata volontaria. Con la promessa di tornare l’indomani per sottoporsi all’ecodoppler di cui necessitava.

A ricostruire nel dettaglio il momento iniziale del malore e le fasi successive è stata l’allora compagna di Corbelli. “Aveva nausea”, dice ricordando la chiamata al 118 per l’ambulanza con cui giunse al policlinico. A riaccompagnarlo il giorno dopo alle Scotte era stato il figlio che studiava per diventare infermiere. “Guidavo piano, aveva ancora nausea”, racconta il giovane. Tessere di un puzzle da comporre che è ancora una ferita profonda per la famiglia del 40enne senese. “Anticipo che chiederò di ascoltare il neurochirurgo, chiamato ripetutamente in causa”, dice l’avvocato Bonomei al giudice Alessandro Maria Solivetti Flacchi. Che dopo aver ascoltato i cinque testimoni rinvia a marzo l’udienza per sentirne altri quattro. Successivamente toccherà ai consulenti del pm Niccolo Ludovici.