Era la vigilia della Pentecoste del 26 maggio 1798 e fu un sabato davvero inquietante per tutti i senesi: avvisati con altre precedenti scosse di meno intensità, il terremoto arriva a Siena. Le cronache parlano di una scossa tremenda che colpì soprattutto le coste dell’antico nucleo urbano, il rione di via del Comune e Fontebranda. I senesi, chiuse le chiese, si ritrovarono a pregare in piazza del Duomo e alla Cappella di piazza. I benestanti presero la carrozza e andarono in campagna, furono innalzate baracche alla Lizza, San Francesco e Sant’Agostino che accolsero gli sfollati. Testimone di tutto questo anche il Pontefice Pio VI, profugo da Roma dopo l’arrivo dei francesi, che lasciò il convento di Sant’Agostino per la villa Sergardi a Torre Fiorentina. "Pochissimi sono stati i morti, molti i feriti - scrive nella sua relazione il Governatore di Siena nella sua relazione al Segretario di Stato - per quanto le Fabbriche non presentino all’esterno molti danni, alla riserva di poche, hanno nell’interno infinitamente sofferto, maggiormente per altro nell’alto che nel basso, forse proprio per la loro evidente elevazione, per la cattiva costruzione, e per l’aggregazione di diverse vecchie Case per formarne una. Le Volte sono quelle che hanno sofferto il più e molte ne sono rovinate.
I Rioni che hanno sofferto di più sono quelli di Fontebranda, e di Ovile: in questi le Case sono in buona parte inabitabili, e di quando in quando ne cadono alcune delle abitate da povera gente. Nel Rione di S. Marco vi sono parecchi danni. Il terremoto ha cagionato gravi danni anche alla campagna in distanza di qualche miglio, non però da tutte le parti". Questo è uno dei momenti più drammatici della nostra storia che si lega ai terremoti, riportati da cronache o addirittura nelle tavolette di Biccherna. E possiamo anche distinguere le caratteristiche dei movimenti tellurici. Per esempio, quello del 1467, ben descritto proprio in una di queste tavolette, ci racconta di un intenso periodo di sciame sismico, causando più preoccupazioni che danni, e che ci mostra una città abbandonata dagli abitanti che andarono a vivere fuori le mura in capanne improvvisate. L’altro sciame è quello del 1956, inizito il 22 febbraio terminato pochi giorni dopo che fece registrare una scossa del settimo grado della scala Mercalli.
E questa Biccherna, nei secoli rappresenta proprio l’impotenza, l’angoscia dei senesi. Oggi poco è cambiato. "Quando balla madre terra, ballano tutti" ci rammenta un antico proverbio delle nostre terre. E niente, come è stato scritto, come il sinistro dondolio del lampadario, durante un terremoto, ci ricorda quanto siamo fragili e inermi.
Massimo Biliorsi