LAURA VALDESI
Cronaca

Delitto della tassista, il dna non risolve il giallo

Scagionati i due indagati: non è compatibile con quello trovato sotto le unghie della donna. Ma la procura continua a indagare

9 agosto 1997: investigatori accanto al taxi 22

9 agosto 1997: investigatori accanto al taxi 22

Siena, 11 novembre 2020 - Non hanno ucciso Alessandra Vanni, quella notte d’estate di 23 anni fa, dietro al cimitero di Castellina in Chianti. Dove la giovane era arrivata dopo aver compiuto una serie di giri strani a Quercegrossa, come se cercasse qualcuno, sul taxi numero 22 che apparteneva allo zio. Quel giorno era all’estero per assistere al gran premio. Non hanno stretto la corda da pacchi intorno al collo della giovane fino a toglierle il respiro, mentre lei cercava disperatamente di difendersi. Sotto le unghie, infatti, erano rimaste tracce di pelle recuperate durante l’autopsia. Preziose per tenere acceso il lume della speranza e trovare la verità su un caso inquietante.

A scagionare i due uomini, entrambi residenti nella nostra provincia, di recente indagati per l’omicidio aggravato della tassista e per rapina – il suo borsello non è mai stato ritrovato – è stato l’esame del dna. L’esito dell’accertamento, disposto dal pm Nicola Marini, è risultato infatti negativo. E dunque esclude automaticamente le persone individuate nel nuovo troncone d’inchiesta dagli investigatori rispetto ad un’eventuale responsabilità nell’uccisione della donna.

Una doccia fredda per quanti, a partire dalla famiglia di Alessandra Vanni, speravano che potesse essere la volta buona. Che l’apertura di un nuovo fascicolo riuscisse a fare luce su una morte inspiegabile, a partire dal movente. La madre di Alessandra Vanni, che attende la verità da 23 anni, aveva lanciato un appello alla procura, sommesso quanto accorato, affinché non si fermasse. Andasse avanti nella ricerca del colpevole. «Sarebbe bello per mia figlia e anche per loro», le parole di questa donna coraggiosa. Che può stare certa: la procura guidata da Salvatore Vitello non si ferma certo davanti all’esito negativo dell’esame del dna. Una risposta, comunque sia. Che indirizza le indagini, tuttora coperte dal massimo riserbo. Che esclude una via rafforzandone un’altra. Per il momento il delitto della tassista rimane un mistero ma si proseguirà nella rilettura delle carte. Non solo quelle. Il dna è un ottimo strumento d’inchiesta, lo sanno bene al reparto investigazioni scientifiche (Ris) di Roma che ha inviato l’esito dell’accertamento a palazzo di giustizia. Ma va sempre dosato con quello che è il supporto tradizionale delle indagini, contestualizzando tracce e reperti.  Sospiro di sollievo, intanto, per gli indagati, uno dei quali assistito dall’avvocato Jacopo Meini. «Ha dato la massima disponibilità a sottoporsi all’accertamento», le parole del legale dopo l’interrogatorio del 26 ottobre scorso e il prelievo della saliva al 58enne che abita nel Chianti senese, effettuato contestualmente. Con la morte di Alessandra Vanni dunque non c’entra nulla. Come pure l’altro uomo finito sotto la lente degli investigatori. Si spengono dunque nuovamente i riflettori (della cronaca) sul caso Vanni. Per l’ennesima volta l’assassino resta senza un nome. Era stato così dopo le speranze collegate all’esumazione della salma di una persona che riposa ad Uopini e che aveva conosciuto Alessandra Vanni. Lo stesso quando vennero trovate armi e ritagli di giornale in cui si parlava del delitto nella casa di un uomo, qualche anno fa. Negativi anche gli accertamenti già svolti su una decina di persone, sempre del dna. «Certo sarebbe una bella cosa trovare chi è stato», ha detto a La Nazione la madre Mirella Rubbioli. Devono essere il faro per cercare, la spinta per spaccare il muro del buio che avvolge questa morte inquietante. E con troppe stranezze.