MADDALENA DE FRANCHIS
Cronaca

Il riscatto dell’ex detenuto: “In carcere volevo uccidermi, ora sono laureato a Siena”

Ernest finì per sei mesi in cella a Forlì dopo la condanna per furto. Ora ha scritto un libro dove racconta la rinascita attraverso gli studi all’Ateneo

Ernest Dan Azobor, il giorno della laurea all’Ateneo di Siena

Ernest Dan Azobor, il giorno della laurea all’Ateneo di Siena

Siena, 9 agosto 2024 – Il suo nome poteva comparire nel triste elenco, ormai sterminato, delle persone, che si sono tolte la vita nelle carceri italiane: a salvarlo è stato un desiderio di riscatto più forte delle vicissitudini della sua giovane vita. Ha anche un capitolo senese la lunga, incredibile, odissea di Ernest Dan Azobor, nato in Nigeria e attualmente residente in città.

Com’è arrivato in Italia?

"Dopo un viaggio in mare dalla Libia, come tanti altri connazionali, perché ero perseguitato nel mio Paese di origine. In Italia speravo di rifarmi una vita, magari sfruttando la mia laurea in Scienze della comunicazione, conseguita in Nigeria. Quando sono arrivato in un centro di accoglienza a Latina, però, ho capito che tutte le mie speranze erano vane".

In che senso?

"Lì non c’era nulla, a parte il posto per dormire. Passavamo le giornate abbandonati a noi stessi: non c’erano progetti di inserimento né corsi di lingua, niente. La mia colpa è stata fidarmi di una persona che aveva promesso di aiutarmi, per poi accusarmi ingiustamente di furto".

Cos’è successo poi?

"All’epoca non sapevo parlare bene la vostra lingua, non sono riuscito a dimostrare la mia innocenza. Così sono finito in carcere a Forlì, dove sono rimasto per sei mesi. Li ricordo come uno dei periodi più brutti della mia vita, sono arrivato persino a tentare il suicidio".

Per quale motivo?

"Il problema di Forlì, come di tutte le carceri italiane, è il sovraffollamento. Si è in troppi ed è difficile, in quelle condizioni, garantire la sicurezza di tutti. La polizia penitenziaria fa quel che può, ma le risorse sono scarse rispetto al numero dei detenuti, quindi anche più stressate, costantemente sotto pressione. Non ho avuto neppure la possibilità di parlare con uno psicologo, sebbene lo avessi richiesto più volte. Periodicamente ci facevano visita i volontari: ma un’intera struttura carceraria non può fare affidamento solo su queste figure".

Chi, allora, l’ha aiutata?

"Oltre al mio avvocato Luca Sebastiani, anche Palma Mercurio, ex direttrice della casa circondariale di Forlì: si è spesa molto per me, anche al momento di uscire, quando la mia innocenza è stata finalmente dimostrata".

Cosa ha fatto uscito dal carcere?

"Grazie al mio avvocato e al sostegno della signora Maria Claudia Agrippa, che aveva appreso la mia storia, mi sono iscritto all’Università di Siena e in due anni, studiando e lavorando, ho conseguito la laurea magistrale in Public and cultural diplomacy. Sono stato ammesso a un dottorato di ricerca e, nel frattempo, lavoro come receptionist in un resort in Toscana".

Negli ultimi tempi, la drammatica situazione delle carceri è tornata d’attualità per i suicidi. Cosa ne pensa?

"Penso di essere stato fortunato, perché stavo per fare la loro stessa fine. Sono convinto che il sistema italiano debba cambiare: non si può continuare a usare il carcere come ‘parcheggio’ per persone che non si sa dove collocare, magari perché straniere o senza documenti. Desidero portare a tutti la mia testimonianza, mettendoci la faccia: ho raccontato la mia storia in un libro, si chiama ‘Pariah’ e parla dell’Africa, laddove tutto è cominciato".