
Il professor Di Perri
Siena, 1 maggio 2020 - «So da mia sorella che a Siena negli ultimi tempi non si registrano contagi. Qui invece la situazione è sempre molto pesante". Giovanni Di Perri, virologo e responsabile delle Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, è in prima linea nella lotta al Covid-19 in Piemonte. E fa parte di un organismo consultivo che mette a punto le strategie. Un’eccellenza senese, Di Perri, figlio di Tullio, colonna portante della medicina alle Scotte e nel nostro Ateneo, scomparso nel 2016. "Sono stato allievo di Caniggia – riavvolge il nastro dei ricordi –, rammento che quando al sesto anno andavamo a lezione al Laterino, ad ascoltarlo venivano anche i dottori di famiglia. Un grandissimo".
Professore, stiamo per vedere la luce in fondo al tunnel? "Diciamo che ci prepariamo a una convivenza con il virus perché quota zero contagi non la raggiungeremo presto e, forse, in queste condizioni sarà un obiettivo spostato in avanti. Se guardiamo alla Cina, si registrano nuovi casi nonostante le precauzioni stringenti. Vuol dire che l’infezione è ancora in trasmissione. La sfida in Italia è conciliare la riapertura delle attività, più ampia possibile, con il contenimento del virus. Nessuno ha la ricetta esatta. Credo che si dovrà agire a seconda di come andranno le cose, magari anche con chiusure per micro-aree in caso di focolai. Errori sono stati fatti un po’ da tutti, qualcosa di diverso l’hanno messo a punto Canada, Nuova Zelanda, Germania e Veneto puntando su un atteggiamento pro-attivo e non passivo". Quali le precauzioni fondamentali per i cittadini nella fase 2? "Il virus, nonostante ciò che è stato detto, si trasmette con la condivisione dell’aria che si respira. Bisogna vivere con la mascherina, se non c’è filtrante anche chirurgica perché scongiura una forte diffusione da parte di chi è infetto. L’altra precauzione è evitare contatti sociali e colloqui inutili: niente cene, feste… io la indosso sul pianerottolo di casa uscendo e la tolgo solo quando rientro". Sanità messa a dura prova dal coronavirus: occorrerà potenziarla sul territorio? "Certo. Anziché fare un’azione ospedale-centrica occorre valorizzare le periferie ed utilizzare ogni braccio armato sul territorio che va rinforzato. C’è stata troppa poca diagnosi in Italia, complice la difficoltà ad ottenere reagenti. Occorre uno sforzo accessorio in tale direzione perché non finisce fra due settimane. Durerà almeno fino a quando si trova un vaccino, può bastare anche un prodotto di media efficacia. Solo il 5% delle forme di coronavirus ha una forte criticità". C’è un consiglio di suo padre del quale ha fatto tesoro? "Pensare alle proprie responsabilità e cercare di soddisfarle al meglio. Nel mio caso tutelare la salute di medici e infermieri: sono riuscito a far arrivare presidi quando non c’erano, ho aumentato lo standard protettivo perché bisogna lavorare il più possibile con la testa cartesiana, senza farsi prendere dalle emozioni". Lei è risultato negativo al tampone ma ha avvertito i parenti di tutelare chi sarebbe rimasto, nel caso di una sua eventuale scomparsa. Ha paura? "Certo. Stante la mia età (ha 61 anni, nd r) ho un rischio di morire del 3,5% se mi ammalo. Fa parte delle responsabilità, quella di medico è un’avventura che purtroppo per qualcuno vuol dire lasciare i propri cari. Ho una moglie giovane e tre figli piccoli di 8, 6 anni e mezzo e 4. Il maschietto di chiama Tullio come mio padre. La paura è una sensazione utile che aiuta a vigilare". Senese e lupaiolo: il Palio si potrebbe correre a fine settembre-ottobre? "Non nelle circostanze e nelle condizioni solite. E un Palio a porte chiuse, come il calcio, non so immaginarlo. Le cene, seguire il cavallo, abbracciarsi dopo la vittoria... Non invidio chi dovrà prendere una decisione che sarà dolorosa per la mia Siena, cui sono legatissimo e dove appena posso torno". © RIPRODUZIONE RISERVATA