"Prego ogni giorno per chi mi ha dato il polmone"

Stefano Gentili, ex presidente della Provincia, è rinato dopo il trapianto

Stefano Gentili con la moglie

Stefano Gentili con la moglie

Siena, 7 maggio 2016 - Quattro persone provano a vivere di nuovo. Grazie al cuore della famiglia di una donna toscana deceduta per emorragia cerebrale: reni e polmoni sono stati trapiantati alle Scotte. «E’ la prima volta che abbiamo effettuato due interventi in contemporanea impegnando due sale operatorie riuscendo a far coincidere l’inizio e la fine delle operazioni per le due pazienti, una di Perugia e l’altra di Prato, a cui è stato impiantato il polmone», spiega il professor Pietro Paladini, direttore dell’unico centro trapianti della Toscana. «Un’eccellenza a volte un po’ trascurata, ci sono grandi professionalità. Credo che la Regione dovrebbe prestare maggiore attenzione alle necessità concrete di certi poli di valore dove si salvano tante persone». Voce autorevole, quella di Stefano Gentili, 59 anni da compiere e un percorso in salita che fa impallidire il Pordoi. Dal ’95 al ’99 è stato presidente della provincia di Grosseto, faceva l’insegnante. «Dopo il trapianto di polmone sono pensionato ma sarei stato volentieri a lavoro ben oltre i limiti previsti», racconta. «Oggi sono 9 anni e 4 mesi che vivo grazie a questo intervento. Vietati i posti affollati per evitare infezioni, ma sto bene. Un’esistenza costellata di medicinali. Ne assumo una quindicina al giorno. Ho dovuto cambiare vita dopo aver scoperto per caso, partecipai a una partita di calcetto e presi una botta, che avevo una fibrosi polmonare idiopatica. Non sarei mai guarito».

Il momento più difficile del calvario?

«Quando scopri cosa ti attende, e capisci che l’unica soluzione è il trapianto. Mentre attendevo che arrivasse il polmone giusto per me, perdevo le forze ma pregavo molto. Sentivo il declino fisico, l’imminenza della chiusura della vita, ma pregavo lo stesso. Poi il 7 gennaio 2007 arrivò la telefonata dal chirurgo Luca Voltolini. In quel viaggio in ambulanza da Pitigliano, dove abito, a Siena, mi passò davanti tutta l’esistenza».

La dote del suo carattere che l’ha più aiutata in questo periodo?

«La resilienza. Non spezzarsi, anche se ci siamo andati vicino. Adesso, finché Dio vorrà... Da quando è iniziata questa vicenda mi sono sentito sempre come uno yogurt che ha la scadenza. Pensavo fosse più breve, invece sono trascorsi già nove anni».

Come guarda al futuro?

«Conto i giorni, non penso agli anni. Il mio metro di misura è cambiato radicalmente. Un monumento andrebbe fatto, oltre che ai medici delle Scotte, a mia moglie Rossella, ai tre figli. Chi ti sta vicino subisce contraccolpi psicologici e fisici».

Cosa dice a chi deve fare un trapianto?

«Che è la strada giusta. Si metta da parte la paura perché quello che viene dopo è molto, molto meglio di prima. Si torna veramente a vivere. Nel 2010 ho persino partecipato, in Svezia, ai Giochi europei per trapiantati. Non so chi è il mio donatore, anche se penso di averlo intuito. Tutti i giorni prego per lui e per la sua famiglia».

Laura Valdesi