di Laura Valdesi
"Difendo una persona perbene. Mi meraviglio che il mio assistito venga dipinto come un ’traditore’. Lo stesso direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria, Giovannini, ha detto in questa aula che l’attività da lui svolta era un vanto e richiamava pazienti da tutta Italia", tuona l’avvocato Alessandro Gamberini che assiste un ex direttore di Unità operativa complessa del policlinico, ormai in pensione. Era in aula il luminare ieri durante la requisitoria del pubblico ministero Alberto Bancalà che ha chiesto la condanna per truffa aggravata: 3 anni e 900 euro di multa. Ma la sentenza, nonostante la discussione del processo si sia conclusa nel pomeriggio, arriverà solo il 9 dicembre, dopo le repliche davanti al giudice Francesco Cerretelli.
La procura si era focalizzata su alcune somme che sarebbero state percepite indebitamente, come ricorda anche il pm nella requisitoria, nell’arco di tempo compreso fra il 2008 ed il giugno 2018. Si tratterebbe di circa mezzo milione di euro. Lo specialista avrebbe svolto, ecco il cuore dell’accusa, attività libero professionale extra moenia. Anche quando era stato incaricato di dirigere un’Unità operativa complessa non avrebbe rivelato all’Azienda che in realtà svolgeva visite anche fuori dalle mura del policlinico. "C’era un rapporto di esclusività", rivendica il pubblico ministero ribadendo la sussistenza della truffa aggravata che sarebbe sostenuta dall’inchiesta dei carabinieri del Nas. "Le visite si svolgevano in un appartamento nel comune di Monteriggioni dove stavano anche alcuni studenti mentre per sé manteneva una stanza adibita a studio medico. Dalle foto dei sopralluoghi si vede bene che all’interno ci sono strumenti", argomenta Bancalà passando in rassegna le testimonianze di chi aveva portato i propri figli proprio lì per farli vedere allo specialista. Accenna al fatto "che non c’era nessuna ricevuta della visita" e "che c’è chi ha riferito di aver pagato 70 euro".
L’Azienda ospedaliera universitaria senese, parte civile nel processo, non fa sconti al luminare. C’era stata anche una segnalazione del febbraio 2018 dell’allora direttore generale Valtere Giovannini. "Il regime di esclusività – ricorda l’avvocato Filippo Frignani – prevede che l’attività professionale del dipendente venga svolta, appunto in via esclusiva, per il datore di lavoro. Giovannini parlò di un atto di fedeltà". E ancora: "In presenza dell’esclusività l’attività libero professionale può essere solo intramoenia. In spazi dell’Azienda, con tariffe e orari da essa stabiliti. Il rapporto intercorre fra il paziente e il policlinico che poi versa una parte al medico". Conclude sostenendo "che non ha rispettato la regola, visitava i pazienti fuori e andava a casa. Non perseguiva il fine istituzionale". C’è stato, a dire del legale, un danno per l’Azienda anche se il luminare ha svolto per quest’ultima l’incarico di primariato. La Corte dei conti nella sentenza di secondo grado, emerge in aula, ha ridotto l’importo.
La difesa, il professor Gamberini con l’avvocato Massimo Rossi, rivendicano "la mancata dimostrazione del capo d’imputazione" e "che non c’erano state plurime visite". Ricordando tra l’altro che se qualcuno si è voluto sdebitare dando vino o castagne questo non vuol dire certo che si è trattato di un’attività retribuita.