Fabio Pianigiani si racconta. Musicista sempre pronto a nuove esperienze a strade da percorrere, qui come a New York. Se ti volti indietro quali ricordi con più piacere? "Non provengo da una famiglia di artisti o musicisti – comincia Pianigiani – e oggi con il senno di poi, penso che sia stata una fortuna. Sono cresciuto libero di scegliere e, inevitabilmente, anche di sbagliare. La mia prima esperienza musicale risale al 1968, quando suonai al circolo universitario Il Gavinone a Siena. Non avevo ancora 15 anni, ma in quell’occasione compresi che volevo dedicare la mia vita alla musica. Da quel momento è stato un vero ’crescendo’ – per rimanere nel vocabolario musicale – di passione e amore per questo mondo. A 19 anni, mentre continuavo a studiare e ad approfondire gli aspetti più teorici della musica, ebbi una straordinaria esperienza grazie al Livello 7 a Siena. Successivamente partecipai a un’audizione in un Night Club a Punta Ala per Riccardo Fogli, che aveva da poco lasciato i Pooh. Fu così che iniziò la mia carriera di musicista professionista. Con Riccardo siamo rimasti amici intimi e ci sentiamo ancora oggi. Negli anni successivi, vissi momenti indimenticabili: i tour con Alice e gli anni ’80 trascorsi con mia moglie Maresa negli Stati Uniti. Lì suonai in club leggendari, come il CBGB e il Trax a New York".
"Uno dei ricordi più significativi della mia carriera, però, è stato l’incontro con Gianna Nannini – racconta Pianigiani –. Ci conoscevamo fin da ragazzi - ricordo ancora che cercava sempre di convincermi a salire sulla sua moto, ma non l’ho mai fatto! - e collaborare con lei è stato davvero magico. Insieme abbiamo dato vita a brani indimenticabili come Bello e Impossibile, Profumo, I Maschi e molti altri. Nonostante fossimo molto legati, sentivo il bisogno di esplorare altre dimensioni musicali, così decisi di dedicarmi alla produzione artistica, una sorta di regia musicale. In seguito, lavorai per il teatro e la danza contemporanea, fino all’incontro con Mario Castelnuovo, un artista con cui ho collaborato non solo come produttore e arrangiatore, ma anche come amico. Tra i progetti più cari al mio cuore c’è Rosso Fulmine scritto nel 2005 per celebrare la vittoria del Palio di Siena della contrada della Torre dopo 44 anni. È una canzone che mi commuove profondamente ogni volta che la ascolto, non solo per il significato della vittoria, ma anche perché evoca un mondo che oggi sembra ormai scomparso".
E oggi dove sei musicalmente diretto? "Circa vent’anni fa ho iniziato a esplorare l’aspetto terapeutico della musica e del suono, intraprendendo un lungo percorso di studio che mi ha portato a specializzarmi come MusicArterapeuta nella globalità dei linguaggi, sotto la guida di Stefania Guerra Lisi e Gino Stefani all’Università di Tor Vergata a Roma". Infine Siena: "Qui la musica risente di un problema di chiusura. Ho avuto la fortuna di essere allievo del professor Luciano Alberti, quando era direttore dell’Accademia Chigiana e del Teatro Comunale di Firenze. A mio parere, con lui sono state realizzate le ultime iniziative davvero coraggiose e internazionali. Successivamente, però, ho trovato molte delle attività delle altre istituzioni musicali troppo autoreferenziali, quasi come se si volesse evitare ogni confronto con il mondo esterno. Tengo a precisare che queste riflessioni non vogliono essere fraintese. Amo profondamente questa terra, e le devo molta dell’ispirazione che ha guidato il mio percorso musicale. Siena è stata spesso la musa di ciò che ho scritto e spero continui a esserlo. Ad esempio, con Gianna Nannini scrivemmo una canzone, Terra Straniera, nata dalla nostalgia che entrambi provavamo per Madre Siena, mentre ci trovavamo immersi nelle nebbie di Milano".
Massimo Biliorsi