
In alto il professor Fabio Berti; sopra alcuni migranti giocano nel posteggio dietro il palasport
di Laura ValdesiSIENA"Se c’è il fenomeno maranza a Siena? Il termine ora va molto di moda ed è un po’ abusato. Certo anche qui come altrove assistiamo a dinamiche effervescenti per quanto riguarda alcuni gruppi giovanili. Dire che i problemi non esistono significa sottovalutare. Però non basta declinarli e fare controlli. Occorre interrogarsi", sostiene Fabio Berti, ordinario di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università di Siena.
Interrogarsi...."Di disagio giovanile si parla dagli anni ’70. Ciclicamente si sono avuti in Italia, come in buona parte dei Paesi europei, fenomeni che coinvolgono i ragazzi legati anche all’uso e all’abuso di sostanze, alla dispersione scolastica. La questione va inquadrata all’interno di dinamiche più complesse . Oggi, diversamente dal passato, coinvolgono spesso, seppure non in modo esclusivo, le cosiddette seconde generazioni. Suscita maggiore allarme sociale: non sono i nostri figli ma i figli di quelli che consideriamo ’diversi’".
Gli stranieri sono molti a Siena?"In verità la percentuale dei residenti nel capoluogo è più bassa rispetto al dato provinciale e di alcuni Comuni. Siena è ferma al 9,9% sul totale della popolazione, la provincia intorno all’11,4% e centri come Monticiano e Chiusdino arrivano quasi al 30%. A Monteroni e Colle siamo al 13%-14%. Il fenomeno dei giovani di seconda generazione non è senese ma va gestito a livello sovralocale".
I maranza sono un fenomeno forte anche al nord."Anche nel caso di Milano arrivano dalla Brianza, dal Bresciano e si riversano nelle piazze dei giovani. Arrivano nel pomeriggio e poi ripartono con gli ultimi bus per rientrare, nel nostro caso per esempio, ad Asciano, Monteroni, Colle, Poggibonsi, Sovicille. Per tale motivo le politiche devono essere di area. Purtroppo da tanti anni non si fanno più. Lo stesso vale per quelle migratorie".
Spieghi meglio."Mancano sia a livello nazionale che locale, lasciando da parte il caso dei richiedenti asilo, cosa è stato fatto nell’ultimo decennio a favore delle dinamiche di integrazione? Quando in Francia scoppiò il caso delle banlieue fu detto ’attenzioene, accadrà anche a noi se non ci attrezziamo con inclusione e contrasto alla dispersione scolastica’. Ora ne paghiamo le conseguenze".
I recenti episodi a Siena sono avvenuti in luoghi centralissimi."Piazza Gramsci e Matteotti sono da sempre luoghi di incontro, geograficamente centrali. Non avendo dati a disposizione si fa sempre fatica ad analizzare. Tuttavia dietro a tali comportamenti ci sono anche bisogni inespressi di manifestazione dell’identità e di riconoscimento rispetto al vuoto pneumatico vissuto da questi ragazzi. Agiscono dove sono ben visibili e possono essere ’riconosciuti’ anche nelle dimensioni devianti".
Lei sostiene: nessun allarmismo."Ci sono state un paio di risse, anche di natura violenta, vero. Ai tempi in cui facevo il liceo, anni ’80, ricordo una spedizione punitiva di decine di colligiani a Casole. Finì in tribunale. Se tuttavia domani ci fosse un altro episodio, poi ancora un ulteriore ci troveremo di fronte a un trend di cambiamento. Quanto accaduto grida, a mio avviso, la necessità di intervenire sul fronte delle politiche migratorie, della dispersione scolastica, della crisi delle famiglie che, sovente, non hanno gli strumenti giusti per essere guide nei confronti dei figli".
Da mesi tiene banco la questione pakistani."Una condizione di estrema vulnerabilità che si protrae da troppi mesi. E la vulnerabilità affrontata da fenomeni di bullismo (quelli dei presunti maranza, ndr) rischia di creare una situazione facilmente incendiaria".
Siena cosa dovrebbe fare di fronte ai segnali rappresentati dalle recenti risse?"In qualche modo avviarsi verso dinamiche di maggiore apertura alla diversità. La città, forse come mai prima di oggi, è chiamata ad aprirsi nei confronti di chi viene da fuori. In passato c’era lo studente universitario che veniva ma spesso se ne andava. Ora la diversità è strutturale. Dobbiamo imparare a lavorare sulla bidirezionalità dell’integrazione: non solo ’loro’ devono farlo ma anche ’noi’ dobbiamo imparare a confrontarci con chi è arrivato".