Siena, 5 luglio 2017 - «LORENZA si è laureata in Scienze della comunicazione a Siena. Oggi vive a Washington, lavora nell’editoria da 15 anni». «Chi non ricorda il primo incontro con gli esperimenti di psicologia e l’esame di psicologia cognitiva?». Tanti messaggi, testimonianze, ricordi sulla pagina Facebook E20com Unisi: è una questione di feeling la giornata promossa dall’Università di Siena, Dipartimento di scienze sociali, politiche e cognitive, per domani in occasione dei 20 anni di laurea di Scienze della Comunicazione. «E’ stata un’esperienza rara anche nel panorama italiano e ancora oggi godiamo di quella qualità di studi e avanguardia che ci ha contraddistinto», dice il professor Maurizio Boldrini, uno dei fondatori del corso di laurea. Cosa accadde 20 anni fa? «Nel giugno del ’97 laureammo i primi 5 dottori in Scienze della comunicazione, al termine del primo corso di studi. Allora non esistevano specifici corsi di laurea e fu istituita una commissione nazionale presieduta da Umberto Eco, cui partecipò anche l’allora rettore Luigi Berlinguer: ne nacquero i primi tre corsi di laurea, a Siena, Salerno e Torino». Un primato che ha lasciato il segno? «A Siena anche un’altra specifica: il professor Sebastiano Bagnara implementò gli indirizzi e a comunicazione di massa e comunicazione d’impresa aggiunse il tecnologico. Siena del resto veniva dalla collaborazione con Olivetti per la realizzazione della prima enciclopedia multimediale. Dunque qui doveva avvenire questa spinta». Come è cambiato nel tempo? «Si partì con un corso di 5 anni, due di discipline generali e tre d’indirizzo. Materie come semiotica, antropologia, entravano in ambito accademico. Fino al 2000 si faceva lezione nelle palestre, nella sala del Leocorno. C’era il numero chiuso: a fronte di oltre 2mila domande ne entravano 150. La selezione era durissima, ma i risultati si vedevano: molti di quei laureati hanno fatto carriera. E’ stato un periodo di grande formazione». Dopo? «Tutte le università si aprirono a questa laurea, senza numero chiuso. Poi la riforma del 3+2, triennale e magistrale: è cambiato il mondo. Se un tempo si formavano 500 comunicatori l’anno, si è arrivati a qualche migliaio e gli sbocchi non sono più stati gli stessi». E domani? «Siamo qui proprio a ragionare sul futuro: credo si debba obbligatoriamente arrivare a studiare e comunicare con le nuove tecnologie. Si dice che questa sia la società dell’immagine, allora bisogna formare gente, giovani che sappiano crearle e leggerle».
CronacaScienze della comunicazione: «Vent’anni di un’esperienza unica»