di Pino Di Blasio
Il professore Francesco Francioni racconta dalla sua casa di Carpineto i retroscena del processo internazionale più complicato degli ultimi otto anni. Per decenni docente di Diritto Internazionale all’Università di Siena, Francioni è professore emerito all’Istituto Universitario Europeo e ha due corsi anche alla Luiss. "Ma se continuerà la didattica a distanza - dice - sto pensando di rinunciare. Non c’è niente di più noioso di una lezione in via telematica".
Non le sembrano troppi 8 anni per la sentenza su Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò protagonisti dell’incidente nel 2012 che costò la vita a due pescatori indiani?
"Certo che sono troppi. Ma i ritardi sono imputabili a fattori non prevedibili e anche a una strategia attendista dell’Italia. Io sono nominato dal governo Gentiloni prima giudice al Tribunale del Mare ad Amburgo, che aveva competenza per le misure di urgenza. E poi sono stato designato dal governo italiano giudice al tribunale arbitrale a L’Aja, costituito tra Italia e India per bloccare il processo ai marò in India. Se il nostro governo avesse seguito questa procedura nel 2012 e non nel 2015, si poteva evitare che la vicenda si trascinasse così a lungo".
Non sono pochi neanche 5 anni per un arbitrato.
"Il presidente della corte arbitrale, il russo Vladimir Golitsyn è stato designato subito, con me e il giudice indiano. Poi sono arrivati gli altri due giudici arbitri, un giamaicano e un coreano. Nelle more del giudizio è morto il giudice indiano, una bravissima persona. E’ passato un anno e mezzo prima che l’India nominasse un altro giudice".
Avete deciso a fine maggio, ma solo ieri la sentenza è stata resa nota.
"L’abbiamo depositata a fine maggio, il lockdown ha ritardato le procedure. Abbiamo deliberato in via telematica, ma per avere le firme dei cinque giudici, la sentenza ha fatto il giro del mondo. Non è ancora pubblica, lo sarà solo quando Italia e India avranno deciso quali parti secretare, come quelle sulla responsabilità penale. Il tribunale arbitrale doveva stabilire solo chi aveva competenza a giudicare i due militari".
La Corte, con 3 voti a favore, tra cui il suo, e 2 no, ha deciso che sarà l’Italia a processarli.
"Una decisione difficile. India e Italia non erano d’accordo su molte cose. A cominciare dall’immunità di funzione da riconoscere a Girone e Latorre. Per noi erano funzionari pubblici, ma l’immunità andava ricondotta nella Convenzione del Diritto del Mare. E’ la prima volta che la questione viene sollevata in un arbitrato internazionale, la sentenza farà giurisprudenza".
Avete ridato potere alla bandiera degli Stati sulle navi. Si torna al mito delle parti di Stato galleggianti?
"Non è più in vigore quella legge del mare, ma la libertà di navigazione è fondamentale. Non si può tollerare che una nave mercantile, con a bordo un contingente militare, con attività sanzionabili dalla Nato, dalla Ue, sia soggetta anche alle leggi dello Stato costiero. La giurisdizione spetta allo Stato bandiera, una tesi cruciale".
L’India ha perso, secondo lei?
"La sentenza è equilibrata, non abbiamo detto che l’Italia ha una giurisdizione esclusiva, altrimenti avremmo sconfessato la Corte Suprema dell’India. Abbiamo parlato di giurisdizione concorrente, l’India non poteva esercitarla su due marinai funzionari pubblici. In India hanno ceduto allo spirito nazionalista, sono andati avanti in modo demagogico".
Qual è stato il momento più complicato?
"Far accettare ad Amburgo le misure urgenti, dopo che l’Italia per tre anni si era disinteressata della questione. E poi quando siamo riusciti a far tornare Girone in Italia perché era malato".