Questa è la storia di un regalo sontuoso che porta con sé effetti indesiderati, come le medicine. Ricorda l’ammonimento di Lacoonte ai Troiani, quel ’timeo Danaos’, che tutti gli studenti di Liceo sono costretti a imparare, ’temo i Greci anche se portano doni’. E’ una trattativa avviata nel 2018, che si trascina da anni e che rischia di sfociare anche in battaglie legali, cause e richieste di risarcimenti. Noti avvocati senesi sono all’opera da tempo per provare a ricucire i rapporti ed evitare passaggi nei Tribunali. Ma non sembra così facile, anche perché nessuno dei protagonisti vuole parlare: bloccato da vincoli di riservatezza, da clausole dettagliate negli accordi siglati, da diffide e minacce di far saltare tutto per ogni minima violazione.
Di cosa parliamo? Della collezione della misteriosa mecenate veneta che sei anni fa contattò, tramite un suo legale, il direttore del Santa Maria della Scala Daniele Pitteri, per donare a Siena 400 opere d’arte moderna e contemporanea. Tante volte ci siamo occupati di questa collezione regalata al Santa Maria, soprattutto negli anni del sindaco Luigi De Mossi. La sua amministrazione prese in carico il dossier ’donazione’, si incontrò più volte con la misteriosa mecenate e alla fine arrivò anche a un accordo per l’esposizione di quelle opere d’arte. La collezione comprende tutti gli artisti italiani del Novecento, molte opere giovanili, disegni, quadri e anche sculture. Chi ha avuto modo di ammirarla, da Pitteri a De Mossi, da alcuni architetti fino al sindaco Nicoletta Fabio, parla di opere di valore, di un regalo davvero importante.
Quali sono gli ostacoli? Le condizioni poste dalla lady veneta. Molti sanno il suo nome, hanno anche parlato con lei, non solo con i legali. Ma il vincolo di riservatezza è assoluto. Pronunciare quel nome significherebbe far saltare tutta l’operazione e pagarne le conseguenze legali. Sorvoliamo sull’identità e parliamo delle condizioni: la mecenate chiede che le opere trovino uno spazio adeguato al Santa Maria e siano esposte tutte insieme. Questo almeno all’inizio della trattativa. Ma non era possibile impegnare tutte le sale dello Spedale già recuperate per dedicarle alla collezione veneta.
Partono le mediazioni, le controproposte, le soluzioni alternative. E si arriverebbe così a un accordo, che sarebbe stato alla base anche del primo ’trasloco’ della collezione in uno dei caveau del Monte dei Paschi in Veneto, forzieri che prima erano di Antonveneta. La bozza d’accordo, alla stesura della quale avrebbe partecipato anche architetti, prevederebbe un centinaio di opere esposte, a rotazione, nella Sala San Pio al Santa Maria. Selezionate con la mecenate, supervisionate dai suoi consulenti, restaurate ed esposte con dovizia di pannelli, luci e didascalie.
Nel frattempo le opere sarebbero state spostate, dal Veneto alle casseforti di Banca Mps a Siena, forse a San Miniato. Spazi più vuoti ora dopo l’esodo incentivato di 4.125 dipendenti. Nella Sala San Pio, però, cento opere esposte a rotazione non ci starebbero. Da qui una nuova trattativa tra la signora veneta, il sindaco Nicoletta Fabio e i legali senesi e veneti per trovare una soluzione che soddisfi Siena, il Santa Maria e la munifica mecenate.
Siamo nella fase della ricucitura, nel frattempo il Monte custodisce 400 opere d’arte. In attesa di una casa.