
Il tamburino, nella comparsa per la piazza, è il primo attore che si presenta al pubblico. Segna il tempo del cammino, testimonia la solennità, scandisce i tempi e soprattutto si può permettere squarci di eleganza. Per molti anni l’immagine del tamburino dell’Istrice è stato lui, Roberto Panti, qui colto da Augusto Mattioli con gli altri alla vigilia dell’ennesima calata sul Campo.
C’era comunque da far tremare i polsi quando esordì il 2 luglio del 1966: prima di lui avevano indossato quella montura personaggi "storici e virtuosi" come Renato Carapelli, Fabio Manganelli e il più recente Paolo Martelli. Poi un lungo percorso in solitaria, come i naviganti più esperti, continuato dal 2 luglio 1968 fino al 17 agosto 1980, intervallato a tratti da nuove generazioni di tamburini che, per l’Istrice, corrispondevano ai nomi di Marco Saletti e Walter Manni, altri virtuosi dello strumento. Ma Roberto Panti è il simbolo di una vivissima generazione istriciaiola, quella degli anni sessanta, che ha il suo culmine nelle due vittorie del decennio successivo, dove mostra la sua compattezza, il suo incidere sulle strategie delle dieci in Campo.
Come ogni vero contradaiolo, tanti i ruoli più o meno ufficiali che ha ricoperto nel corso degli anni, ma l’immagine che più ci piace di lui è quella di tamburino di piazza, il suo inconfondibile incedere, il particolare modo di muovere le mazze, il rullio, il senso della proporzione fra tradizione ed innovazione, soprattutto nel passo di piazza. E magari l’immagine che più ci piace è quella con Ludovico Carli e Antonio Marzi come alfieri, per un affiatamento che ha fatto scuola, anche se molti altri alfieri si sono alternati dietro di lui. Sicuramente ogni volta che si affacciava dalla bocca del Casato era una nuove e diversa emozione: questo è il senso di un qualcosa che magicamente riesce sempre a rinnovarsi.
Recentemente lo abbiamo visto fra i protagonisti di un documentario, con dietro esperti come Michele Landi, che ripercorre il suo percorso di tamburino. Sentirlo suonare ancora oggi offre ancora tante emozioni: non solo il mestiere non si dimentica, ma l’ispirazione resta sempre accanto a chi ha saputo incantare intere generazioni.
Massimo Biliorsi