ROBERTO BARZANTI
Cronaca

Il viaggio di Alessandro Falassi. Quel ponte tra Siena e il mondo

Storico, antropologo, priore della sua Contrada, unì il legame con la sua terra a una visione cosmopolita. Da “La terra in piazza“ a “La Santa dell’Oca“, dall’insegnamento al Mangia d’oro: le tappe di una vita.

Alessandro Falassi al teatro dei Rinnovati in occasione della presentazione del Palio di Botero

Alessandro Falassi al teatro dei Rinnovati in occasione della presentazione del Palio di Botero

Alessandro Falassi, 1945-2014, spiccò per i suoi originali interessi fin dagli anni del Liceo classico. Sarà perché veniva da fuori e voleva mantenere un legame forte con il solerte Chianti, con la nativa Castellina. A terza liceo, alla vigilia della maturità – era il 1964 – vinse il premio messo a concorso dal locale Comitato per la storia del Risorgimento italiano con una prova maiuscola, dove rivisitava con matura disinvoltura critica un’età di solito scandita con retorica enfasi. Era sveglio, curioso, intraprendente, sornione e diplomatico.

Sandro fu calamitato da Firenze, dove nel 1970 si laureò al Cesare Alfieri, dove ebbe modo di conoscere il docente di letteratura francese Mario Luzi, che influì profondamente nel modo di accostarsi alle tradizioni popolari più ancora che nel commentare i testi del suo corso. Nel 1970, appena conclusa l’esperienza fiorentina, fece la valigia e approdò a Berkeley: la sede preferita del suo impegno di ricercatore. Partì portando con sé una lettera di presentazione che come sindaco di Siena scrissi al professor Alan Dundes. L’avevo stesa di tutto cuore, con piena sincerità.

Era giunta l’ora – ritenevamo – di guardare il Palio alla luce delle categorie di un’antropologia culturale contraddistinta da molti debiti verso le teorie della psicanalisi freudiana: "Siena ospita – rileggo quella missiva, datata 7 novembre 1970 – uno degli esempi più alti e autentici del folklore italiano, il Palio, una gara in cui esplode una complessa vita istituzionale ricca di abitudini e costumi che meritano un’esplorazione più attenta di quella finora goduta". Nacque così il libro a due mani “La terra in piazza” (Universiy of California Press Berkeley Los Angeles London, 1975), grazie anche al generoso sostegno del Monte dei Paschi. Il libro – ormai un classico – presentò una nuova interpretazione del Palio. Immise la festa in un universo che lo sottraeva alla retorica patriottarda e lo consegnava alla postmodernità. Era un’opera di laicizzazione che Alessandro, prudente diplomatico, non volle subito far tradurre. Temeva fraintendimenti.

La ricerca era fondata su un’ antropologia tesa a svelare i simboli nascosti perlopiù di timbro erotico nei comportamenti che scatenava. Uscì in seconda edizione nel 1984 e i mugugni cessarono. Il libro più suo che Falassi abbia dedicato all’universo del Palio e delle Contrade è “Per forza e per amore. I canti popolari del Palio di Siena” (1980). Il canzoniere collettivo della festa contiene un’inesauribile miniera di metafore, di ambigue allusioni, sfacciati epiteti, sguaiate imprecazioni. Lungo le tortuose vie di Siena Falassi non poteva non imbattersi nell’icona di Caterina di Jacopo di Benincasa, e nacque così “La Santa dell’Oca” (1980). L’autore si guardava bene dall’addentrarsi in disquisizioni filologiche sulla scrittura o sulla biografia e si atteneva scrupolosamente a commentare la fortuna delle Santa nelle molte vesti che le erano state cucite addosso. Sandro volle che fossi io a pronunciare la “laudatio” d’uso quando gli fu conferito, nel 1991, il Mangia d’oro.

Lo rivedo in quel giorno caldo di abbracci, con Chiara e con Giovanni, nato da poco. La lezione che Alessandro ci lascia, con tanti scritti, colti senza spocchia, e con l’appassionato insegnamento all’Università , si può riassumere in un prezioso monito: star dentro – fu Priore dell’Istrice – ad un magnifico rito ma sapendolo guardare da fuori, capire e amare le tradizioni delle propria terra non facendosene travolgere, individuare nell’eccezionalità la norma, nel fasto splendente la quotidiana fatica. Gli piaceva un proverbio: "Il mondo è di chi lo sa canzonare".